mercoledì 4 agosto 2010

Camminando per Ha Noi

La prima impressione del Vietnam, dall'aereo in fase di atterraggio, e' di un paesaggio stranamente europeo: le case dei piccoli villaggi nella pianura verdissima hanno tetti a spioventi come da noi e non mancano, ben distinguibili, le chiese coi relativi campanili. Durante il tragitto dall'aeroporto a Hanoi i cappelli conici dei contadini, i bufali dalle corna piatte e gli zebu' gibbosi che vedo nei campi salvano il desiderio di colore esotico del sottoscritto, ma una volta in citta' riprende la curiosa sensazione di un'architettura europea: le case non sono i cubi di cemento, con intercalati qua e la' un vistoso tempio cinese, cui mi sono abituato a Taipei, ma costruzioni piu' familiari ai miei occhi cuneesi, edifici che direi a misura d'uomo, il cui stile hanoi risente chiaramente le influenze coloniali. Anche il fatto che le scritte, sia pure in una lingua incomprensibile, siano nel nostro alfabeto (per quanto arricchito da molti accenti) aumenta il senso di Europa: per contrasto torna in mente la sensazione di totale estraneamento, di essere finito in un mondo che non potro' mai capire, che mi aveva colto in uno scalo a Bangkok, nel primo viaggio verso Taiwan, di fronte a una scritta in lingua locale.
  A proposito di lingue, il vietnamita sembra molto influenzato dal cinese: nei tre giorni laggiu' mi capito' spesso di riconoscere delle parole (Halong=Drago calante, in cinese sarebbe Xia Long; Bai Ma = Cavallo Bianco, tanto per citare un paio di esempi rimastimi in mente perche' legati a luoghi di interesse turistico); d'altra parte le iscrizioni sui templi sono in caratteri che a me parvero cinesi. Al ritorno ho controllato su wikipedia: per quanto l'influenza ci sia stata, le due lingue sono molto diverse, non appartengono neppure alla stessa famiglia; ed i caratteri cinesizzanti non sono in realta' gli stessi utillizzati piu' a nord, dato che i vietnamiti ne crearono di propri.
  Tornando al racconto: l'incontro con Stefano e' ritardato dal fatto che il "tassista" mandato a prendermi aspetta di caricare un altro passeggero. E' il primo, moderato esempio dell' "aggressivita' verso i turisti"  che vedro' ampiamente dispiegata nei giorni seguenti, e cui non avevo l'abitudine in quanto mai incontrato a Taiwan (in parte, suppongo, perche' meno invasi dai turisti, ma soprattutto , immagino, a causa del maggiore benessere di Formosa).
  Depositato il bagaglio in un accogliente alberghetto della citta' vecchia (12$ a notte per due persone, a quanto ricordo), il primo giretto. Se gia' case e strade mostravano evidenti ricordi della colonizzazione, la facciata neogotica della cattedrale di San Giuseppe, cosi' simile a quanto si incontra nel nord della Francia, ne e' una testimonianza quasi urlata. L'interno della chiesa, rivestito da intagli lignei, si rivelera' piu' originale, ma nemmeno qui, a quanto discerno in una rapida visita, lo stile puo' dirsi vietnamita: si tratta piuttosto di "neogotico internazionale", che mi richiama una basilica a Montreal. Li' vicino, il Lago della Spada Restituita prende il nome da una leggenda curiosamente simile a quella di Excalibur. Un tempio su un'isoletta e' chiuso, vista l'ora tarda, ma possiamo almeno osservare, all'ingresso, le familiari rappresentazioni della tigre bianca e del drago azzurro (a differenza che a Taiwan, qui non sono accompagnante da figure umane). La giornata si conclude con una birra (o aranciata, a seconda dei gusti) e una cenetta locale, in un ristorante economico. Il cibo non e' troppo diverso da quello cinese; insoliti per il sottoscritto sono invece i minisgabelli che ci fanno da sedie (quelli di altezza normale fanno le veci del tavolo).
  Il giorno dopo, come iniziamo il nostro giro turistico ho altri esempi dell'aggressiva intraprendenza affaristica degli indigeni: non appena usciti veniamo avvicinati da un motociclista che si offre di portarci da qualche parte, a prezzi che all'esperto Stefano appaiono esagerati. E' difficile essere lasciati in pace: ricordo il caso d'una signora che tenta di venderci cartoline mentre sulla riva del lago gustiamo un succoso frutto locale. Ma il caso piu' clamoroso sara' il proditorio e attaccatticio assalto di cui sono vittima mentre attraversiamo una delle affollate strade del centro storico: un tizio si lancia sul mio piede destro e, in apparenza turbatissimo dalle condizioni del sandalo, tirato fuori un tubetto di colla ne versa alcune gocce dove giudica che la calzatura si stia rompendo. Poi ne esamina meglio la suola ed in un attimo il sottoscritto, prima ancora di aver capito cosa stia succedendo, si ritrova con al piede una ciabatta di fortuna, mentre il tizio, accomodatosi sul marciapiede, si da' alla sua opera di restauro. Dopo qualche risata Stefano per fortuna decide di intervenire: chiede all'improvvisato ciabattino il suo prezzo, dichiara che e' troppo, mi fa rimettere il sandalo e ripartiamo, dando al tipo una piccola somma a compenso del "servigio" (a proposito: la valuta locale ha un valore incredibilmente basso: l'unita' piu' piccola utilizzata in pratica e' la banconota da 1000).
  In mattinata passeggiamo per la citta' vecchia, fermandoci al mercato della frutta, in un negozietto che vende riproduzioni di manifesti propagandistici dei tempi della guerra ed in un paio di templi. In uno di questi, recentemente restaurato da una missione francese, una serie di cartelli esplicatori da' preziose informazioni sul significato dell'iconografia, generalmente simile a quella cinese e dunque a me nota a livello figurativo ma per lo piu' scarsamente compresa quanto al valore simbolico. Apprendo ad esempio che la carpa trasformantesi in drago rappresenta lo sviluppo intellettuale dello studioso, e che la tigre ed il drago rientrano nella simbologia di yin e yang.
  Per il primo pomeriggio il piano e' di visitare il museo etnologico,house onde passare le ore piu' calde della giornata al coperto, al conforto dell'aria condizionata. Con nostra grande delusione, quest'ultima si rivelera' inesistente, a grave detrimento delle capacita' intellettive del sottoscritto, che per un paio d'ore vaga tra reperti delle varie popolazioni del territorio vietnamita con occhio vacuo e cervello spento. Va meglio quando visitiamo la parte all'aperto del museo, consistente in una serie di ricostruzioni di abitazioni locali; le piu' interessanti sono alcune capanne tribali su palafitte: il tetto della piu' maestosa arriva a qualcosa come diciassette metri dal suolo e l'interno ci accoglie fresco e ben ventilato.
Ignazio