domenica 22 luglio 2012

Tête Blanche de By - Rifugio Chiarella all'Amiante

Un giro aereo! Finalmente un giro in scenari non chiusi, umidi, senza luce (tranne la settimana del 21 giugno), sotto cime aguzze e inarrivabili. Finalmente non nel "buco". Il gran caldo, e l'assenza del Segretario SEI (Nando, che vive per il "buco"), spinge me (CP) e Andrea (PD) ad andare in alto, in val d'Aosta, per l'esattezza in val Pelline. 
la verde valle di Ollomont
Abbiamo rimandato questo giro di un anno esatto perché l'altra volta non c'erano le condizioni meteo, ma questa volta non c'è scusa... A dire il vero ci siamo spaventati non poco quando la mailing list del CAI Pavia (del quale siamo soci) ci avvertiva della gita sociale del CAI proprio al Chiarella. Ahhhhrgh! Telefono alla mano, parliamo con i gestori (di spiccata accento ligure) e meno male: la riservazione del posto per noi due è fatta. Siamo fortunati: al Chiarella ci entrano 30 persone, e con noi arriviamo a quota 27.
Incontreremo ben 25 soci CAI Pavia, ottimo!, e ci presenteremo finalmente! Dopo 13 anni. PD e io paritiamo da Pavia e arriviamo a Glacier (1549m) dove lasciamo l'auto. Controlliamo le targhe, ed effettivamente qualche auto pavese c'è. La salita parte ripida e si arriva, in un tripudio di sole e verde, a Farinet. Mentre saliamo, e si guarda giù a sud lungo la valle di Ollomont, si ammira il sorgere dei giganti vicino ad Aosta: Emilius e Grivola su tutti.
invaso di Farinet (2009m)

PD mi dice che da queste parti è venuto in auto-confino il presidente Einaudi, e poi capisco da Internèt quale fosse tra le case che abbiamo visto qualla che lo ospitò. Lo scenario si allarga meravigliosamente anche a nord ora, gli abeti sono spariti. Siamo al termine di un bell'anfiteatro di montagne, uno scenario aperto e terso incredibile. Giusto il tempo di guardare in basso l'invaso artificiale di Farinet, e lungo la strada asfaltata, tutto a destra, si vede dove occorre arrivare: il brillare del pannello solare del rifugio ne tradisce la presenza. Molto sulla sinistra rispetto al Chiarella c'è anche il bivacco Savoia (2674m) ma non lo vedo. Usciti da By sbagliamo a continuare per la strada asfaltata seguendo un gruppo di francesi, torniamo quindi indietro e troviamo il bivio giusto che lascia la strada. Ancora un po' più su (siamo oltre i 2100m) e troviamo la Panda 4x4 dei malgari della Tsa de la Commune (2303m) parcheggiata di lato al sentiero (MP sarà contento che si può arrivare qui con l'auto).
le cime verso nord
Appena sopra la malga notiamo la colonna del CAI: eccoli! Non ci paiono 25...sembrano meno. Passiamo dalla malga, ci sono persone al lavoro intente a mungere le mucche, e poco dopo raggiungiamo la colonna CAI. 
Saliamo insieme, il loro gruppo si è sgranato e i precursori CAI sono alla base dell'ultima salita ad aspettare, prima delle corde e del Chiarella. Siamo ormai sulle rocce. La salita tira non poco, e l'ultima parte è su una scaletta di metallo con corde per superare i forse quaranta metri di dislivello, gli ultimi prima del dosso sul quale sorge il Chiarella (2982m).
Ultima salita (intorno ai 2600m)
Il rifugio non è grandissimo, ma ben organizzato con una camerata, la cucina e una sala piuttosto lunga con due tavoli e la stufa. Esternamente c'è il locale aperto anche d'inverno (senza stufa).
Non siamo soli: ci sono due giovani che hanno portato con loro in spalla due mountain-bike(!) e, caschetto in testa con web-cam montata, si picchiano di sotto per filmare una
discesa a rotta di collo...ho poi cercato il video senza successo.
il rifugio Chiarella (2982m)
L'altro gruppo è costituito da due guide alpine e due clienti che hanno intenzione di affrontare l'ascesa sul Grand Combin, il gigante della zona. Stimano di essere indietro in 14 ore, partiranno alle ore 3.00 del mattino.
Dopo pranzo (nel quale faccio la prova delle spettacolari trofie al pesto del Chiarella!), il pomeriggio scorre lentamente, tra giocate a carte, quattro chiacchere, un giretto fuori ad ammirare il panorama: rocce severe intorno, in fondo la valle verde e un'incantevole contorno di cime come cornice. Sale il vento, si inizia a far fatica a stare fuori. Dopo la cena, a base di altre trofie al pesto, un giro di grappe e siamo subito a dormire.
Il giorno dopo, tempo splendido e senza vento. La colonna CAI, e noi due, si muove per andare al cospetto del gigante, sulla Tête Blanche de By (3418m).
Sappiamo che i 4 alpinisti non ce l'hanno fatta: troppa nebbia, non c'erano le condizioni per salire e quando usciamo loro sono a riposare nell'invernale.
passaggio di Col du Gabelou (3129m)
La salita è piuttosto dolce, l'unico pezzo "problematico" (non ora, ma con ghiaccio o con il bagnato può esserlo) è il passaggio a Col du Gabelou (3129m): una strettoia esposta da dove occorre passare se si seguono i segni. Passato questo, la salita riprende e si può ammirare il sorgere del Monte Bianco! Fantastico.
Arrivati alla Tete Blanche de By si è al cospetto dei signori delle Alpi, sensazione questa che non provavo dal 2005 (Grivola, Testa Rossa(3600m) con Nando).
Monica e il Grand Combin
Il Grand Combin(4314m) è davvero impressionante: nero della roccia, ghiacciai con sfasciumi e costoni impervi lo rendono severo e respingente in forte contrasto con il sereno di tutto l'azzurro e la splendida giornata in cui siamo immersi. Silenzio e foto. In lontananza due alpinisti traversano sul ghiaccio nero sotto la Gran Tete.
Scendiamo contenti. Firmiamo il registro, facciamo lo zaino e  ci prepariamo a tornare a Glacier.
Grazie al CAI di Chiavari e ai suoi volontari! Quando si danno il cambio al Chiarella salgono con la tolla di pesto autoprodotto in spalla. Grazie al CAI Pavia per la splendida compagnia! 
Grand Combin (4314m) - vista dalla Tête Blanche de By.
In particolare a Andrea B. e Monica, gli ottimi capi-gita, Mauro B. per il filmato di tutta l'escursione e Davide B. a cui il SEI un piacevole soggiorno in California dove si tratterrà nei prossimi anni (giovane, visita Yosemite mi raccomando).
Capiterà di sicuro di rivederci per organizzare un'altra escursione magari di più giorni. La val d'Aosta non tradisce mai, alla prossima!
CP

sabato 14 luglio 2012

Il Presidente alle Filippine

E' un vero piacere per CP-webmaster postare un nuovo racconto di viaggio di Ignazio, il nostro Presidente SEI, che, ancora di stanza a Taiwan, ha trovato qualche giorno da trascorrere alle Filippine in compagnia di Esteban. Da qualche tempo, una volta all'anno, i due si ritrovano in Asia.
A voi!

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La prima visione è decisamente "infernale". Più precisamente, richiama in modo irresistibile la descrizione della prima delle Malebolge:

"come i Roman per l’essercito molto,
l’anno del giubileo, su per lo ponte
hanno a passar la gente modo colto, 30
che da l’un lato tutti hanno la fronte
verso ’l castello e vanno a Santo Pietro,
da l’altra sponda vanno verso ’l monte",


allo stesso modo gli utenti di questa metropolitana sovraccarica si dispongono ordinatamente su due file, a seconda della direzione che devono prendere. E mantengono questa disciplina anche quando, come nel caso presente (una fermata periferica, all'inizio d'una giornata lavorativa), una delle due linee è semivuota e l'altra fin troppo affollata; sicché la mia prima impressione di Manila è di un traffico sì caotico, ma non in modo così estremo: ho visto di peggio. Semmai c'è da lamentare che le indicazioni sulla direzione sono fornite solo (per quanto posso capire) quasi all'ingresso ai binari, col rischio per il viaggiatore inesperto di farsi una lunga coda inutile (o peggio: da quanto vedrò in seguito, passare dall'altro lato è un'operazione tutt'altro che banale); per fortuna, in questa prima occasione la fila da me imbroccata si rivela quella giusta.
Manila vecchia
Sono appena arrivato e mi reco all'appuntamento con Esteban. Dalla sopraelevata ho qualche prima impressione della città, ma siamo troppo stipati per poter guardare bene. In compenso, giungo al luogo dell'appuntamento con largo anticipo e per ingannare il tempo mi studio i murales sulle pareti di una scuola, dedicati all'amicizia sino-filippina. Un'occasione per ripassare un po' di caratteri cinesi: curiosamente sembrano essere quelli tradizionali, tuttora usati a Taiwan e Hong Kong, ma non nella Cina vera e propria. Tra un dipinto e l'altro, scritte che avvertono del divieto di vendita alcoolici a meno di cento metri dalla scuola e che invitano a non usare il clacson per non disturbare le lezioni (quest'ultima è una dimostrazione di ottimismo quasi patetica in tanto traffico). Da questi avvisi, come dalla pubblicità nella metro, ho modo di notare che l'inglese sembra diffuso quanto il filippino (tagalog): è la prima volta, in Asia, che l'avverto come un idioma davvero usato quotidianamente e non solo un'utile lingua franca (una parziale eccezione all'allofonismo era stata Singapore, ma appare meno significativa). Effetto, suppongo, della colonizzazione statunitense: anche le targhe delle auto richiamano fortemente lo stile nordamericano. Molto piu' frammentarie, invece, le tracce dello spagnolo, vistosamente presente quasi solo nei nomi di posti e persone.
il traffico di Manila

Nell'attesa curioso anche tra gli scaffali di un emporio, dove mi attende la sorpresa di confezioni di pasta con nome in cinese e istruzioni rigorosamente solo in coreano (almeno, suppongo sia tale; ma per quanto ne so a Seoul usano un alfabeto sufficientemente unico da non suscitare equivoci): da quanto avremo modo di vedere poi, le Filippine devono essere una delle mete balneari piu' popolari in Corea. Piu' piacevole la scoperta che qui le bottigliette di succhi di frutta o tè contengono spesso anche qualcosa di piu' solido e delizioso (dagli studi successivi, sarei tentato di credere che si tratti di gelatina di cocco).
Finalmente arriva Esteban. Causa un tentativo di furto (ha salvato all'ultimo istante lo zaino in procinto di involarsi dal bagagliaio dell'autobus), puo' informarmi che gli indigeni non sono del tutto amichevoli. Per fortuna sarà l'unico episodio spiacevole: nei tre giorni successivi non abbiamo avuto alcun problema, anzi la maggioranza di coloro con cui abbiamo a che fare si mostra gentile e amichevole. Persino le offerte di scarrozzarci in giro non saranno troppo insistenti (con qualche eccezione, ma non al livello di altre località asiatiche). Sul lato criminalità, va comunque segnalato che raramente mi è capitato di vedere così spesso guardie armate: agli ingressi di metro, uffici pubblici, centri commerciali, aereoporto, etc., poliziotti o vigilantes privati ci fanno passare al metal detector o ci sottopongono ad una rapida perquisizione e richiedono l'apertura degli zaini. Controlli in genere molto rapidi, a quanto posso giudicare condotti piu' per formalità che perché lo reputino necessario; ma è comunque piu' di quanto ricordi di aver visto in altri paesi.

il SEI per mare, nonostante
il tifone in lontananza, verso Mindoro
Sistematici senza troppe difficoltà in un alberghetto economico (nelle scale troneggiano due macchine da scrivere antediluviane, a ricordare al sottoscritto il clavicembalo scrivano che fece perdere a Paperone così tanti dollari [http://coa.inducks.org/story.php?c=I+TL++357-A]), si fa il giro dei cambiavalute, in cerca del piu' conveniente, impresa complicata dalle sfavorevoli oscillazioni dell'euro. Curiosamente, questa branca dell'attività bancaria qui sembra appanaggio della minoranza islamica: in ogni negozietto campeggiano scritte in arabo ed in piu' casi ci accolgono signore velate, una vista altrimenti per nulla comune nelle strade di Manila.
Superate le ore piu' calde della giornata con una siesta decisamente necessaria dopo la notte in aereoporto, iniziamo finalmente ad esplorare l'offerta turistica del centro storico. In realtà non c'è molto che sia sopravvissuto ai bombardamenti e anche quel poco non ci impressiona piu' di tanto: della visita alla chiesa piu' antica della città ricordo quasi solo la sorpresa di sentire che celebravano messa in inglese. Per le strade e nei cortili si vedono gatti in abbondanza: me li fa notare Esteban e mi rendo conto che per qualche misterioso motivo a Taipei invece sono un incontro piuttosto raro (mi ricordo ora che ci sono alcuni paesini a Taiwan che sono famosi per i gatti: forse un'altra indicazione che di solito qui non si trovano). Un violento acquazzone vanifica il piano di assistere al tramonto sulla baia e il tentativo di Esteban di procurarsi una birra si scontra col divieto di vendere alcoolici a poca distanza dalle scuole; per concludere in bellezza, ci resta pero' il momento del durian.
Mindoro - la barca presidenziale
Avevamo letto sulla guida che a Manila ci sono alcuni dei centri commericali piu' grandi del mondo: ci rendiamo conto di cosa significhi quando entriamo nel Robinsons Place (che a quanto sembra non sarebbe nemmeno uno dei piu' grossi), alla ricerca di un supermercato ove comprare il frutto celebrativo. E' solo dopo un buon quarto d'ora di cammino tra dozzine di negozi che riusciamo a trovare quello che ci interessa. Sbrigato l'acquisto, son quasi le dieci: con nostra sorpresa, improvvisamente le luci iniziano a spegnersi e le saracinesche ad abbassarsi - a quanto pare, questi megamercati la notte dormono! Ne fa le spese il mio desiderio di sperimentare bevande esotiche: il negozietto che avevo adocchiato poco prima è ormai chiuso e devo accontentarmi di un te' alla frutta non troppo diverso da quanto potrei trovare a Taipei. In compenso, il durian (cui il sottoscritto ha aggiunto la morbida dolcezza di un frutto del drago) viene consumato in un'atmosfera curiosa e suggestiva, nella penombra del centro commericale ormai quasi deserto, appollati su un tavolino che poco prima serviva ad esporre non ricordo quale merce, un raccoglimento certo appropriato alla degustazione di un frutto ormai per noi così significativo.
Mindoro - esempio di villaggio agiato
Il giorno dopo, si parte per il sud. Manila non ha una vera e propria stazione degli autobus, ci sono invece aree dove varie compagnie fanno partire i loro mezzi; l'impiegato dell'ufficio turistico ci ha indirizzati a quella sbagliata per raggiungere la nostra meta, ma nella confusione del corso "Epifania de los Santos" (Edsa) è difficile capirlo e solo dopo aver raccolto una quantità sufficientemente coerente di informazioni dagli indigeni riprendiamo la metro per pervenire finalmente al pullman di nosto interesse.
Del viaggio fino al porto di Batangas ricordo quasi soltanto l'acquisto, in una sosta, d'un pacchettino di banane fritte, che mi riconcilia con tale versione del frutto (mi era capitato di assaggiarne già molti anni fa, trovandolo all'epoca disgustoso: plausibile che i mie gusti siano cambiati con l'accumularsi dei lustri); anche la breve traversata in mare non presenta particolari incidenti e resta memorabile, oltre che per i bei panorami tropicali, soprattutto per la nostalgica rievocazione dei praho salgariani procuratami dai bilancieri della nostra nave. Arrivati alla meta, il paesino di Puerto Galera, nell'isola di Mindoro, troviamo sistemazione in un'economica cameretta e facciamo ancora in tempo per una prima nuotata. In serata, notiamo dalla spiaggia una lontana tromba d'aria. Una grossa delusione per il sottoscritto è la scarsa offerta di frutta tropicale e bevande derivate: in particolare mi ha lasciato negativamente sorpreso che a Puerto Galera i bar sulla spiaggia vendessero bevande stile europeo-nordamericano, ma non frullati di mango o papaya; per questi avrei poi trovato un negozietto, purtroppo molto meno attivo di quanto non avrei desiderato.
Mindoro - una cascatella

Il mattino seguente è dedicato ad un'escursione per vedere una cascata: qualche chilometro di piacevole cammino (temperature a parte) prima lungo la spiaggia e poi in una giungla non troppo selvaggia. Esteban dovrebbe aver preso qualche foto; io mi limito a rievocare le splendide farfalle multicolori, nonché un paio di villaggi indigeni, il primo un'accozzaglia di baracche, il secondo invece costituito in gran parte di casette che suggeriscono una certa agiatezza, tanto da farci ipotizzare che agli autoctoni sia arrivato qualcosa di piu' delle briciole dei soldi portati dal turismo. Nel pomeriggio, si torna in mare; il sottoscritto non ha attrezzatura, ma Esteban mi presta maschera e boccaglio, dandomi modo - per la prima volta in vita mia - di ammirare direttamente l'incanto delle acque tropicali: tra gli scogli, pesci angelo, altri azzurri, uno scorfano, ancora molti pesci di varie altre specie a me ignote, grandi stelle di mare (le piu' belle blu), coralli di vario tipo, anemoni e ricci di mare, etc..

"Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
e terra magno alterius spectare laborem:"

quella sera dalla spiaggia possiamo goderci la spettacolare visione di due tempeste in contemporanea, a 
decine di chilometri da noi. Troppo lontane per sentire anche solo i tuoni, ma, come avevo già accennato, ci viene offerto un vero tripudio di fulmini, quasi tutti aria-aria, tra i quali ne voglio ricordare uno che vidi descrivere una circonferenza quasi perfetta.
Mindoro - una barca

Il quarto giorno ci separiamo: Esteban resta a Puerto Galera, mentre io torno a Manila, dove in serata avro' il volo per Taipei. Abbiamo ancora il tempo di fare colazione insieme sulla spiaggia: una venditrice ambulante si ferma a fare due chiacchiere e apprendiamo che, nonostante la mancanza di velo, si tratta di una musulmana. Quasi l'ultima visione che ho di Mindoro, dalla barca, è un macaco che corre tra le rocce, un paio di metri sopra il mare.
 Stefano vi ha già descritto le jeepney: io ne faccio esperienza al porto di Batangas, prendendole per recarmi al centro (facendo forse parte del viaggio a sbafo: un resto consegnatomi dal conduttore sembra decisamente eccessivo, ma al momento ero troppo preso dal problema di capire dove scendere per preoccuparmene) e da lì salgo sull'autobus per Manila. Nella capitale approfitto delle varie ore ancora a mia disposizione per un secondo giretto per il quartiere storico di Intramuros: visito il forte spagnolo per cui non avevamo avuto tempo il primo giorno (una mezza delusione anche questo) e, piu' importante, provvedo all'acquisto di qualche cartolina (sia da spedire che come souvenir per il sottoscritto, tuttora ostinatamente privo di macchina fotografica). Tra questa "costosa" compulsione (in tutto il viaggio ci avro' speso un sette od otto euro, inclusi i francobolli) e le viziose abitudini goderecce espressesi nel mangiucchiare qualcosa per strada e provare bevande piu' o meno tipiche (Esteban potrà riferirvi dei maestosi sviluppi della panza presidenziale), consumo senza accorgermene la quasi totalità della valuta locale rimastami, costringendomi a cambiare un altro duecento dollari taiwanesi (circa 6 euro) a condizioni assolutamente sfavorevoli. Nemmeno in quest'ultimo giorno riesco ad ammirare il tramonto sulla baia: me lo godo invece dalle mura del centro storico, affollate di coppiette alla riceca d'atmosfera romantica.
Infine, arrivo confusamente a Edsa, dove dovrei prendere il bus per l'aereporto: nel caos della zona, per di piu' aumentato da alcuni miei errori di percorso, finisco in condizione pericolosamente vicina al panico e, non essendomi chiaro quando sarebbe passato il primo mezzo pubblico o se lo stessi aspettando nel posto giusto, quando un tizio si offre di chiamarmi un taxi per i duecento peso rimastimi in tasca non riesco a dirgli di no in modo convincente. Mi rimangono ancora gli spiccioli, con cui cerco di pagarmi una qualche cena, desiderio parzialmente frustrato dalla differenza di cinque peso tra le finanze a mia disposizione e la mercanzia che mi appare piu' appetibile: a mia beffa, qualche settimana piu' tardi avrei trovato, persa nei recessi del portafogli, proprio una moneta da cinque peso.
Il volo di ritorno è contraddistinto da un'aria condizionata troppo forte per il mio fisico: rientro con un gran bel raffreddore e tuttora, a oltre un mese di distanza, la tosse non mi e'  passata del tutto.

Saluti,
   Pant d'Or