domenica 15 dicembre 2013

capanna Borgna e passo di Ruscada

capanna Borgna (1912m) e Madone (2395m)
La salita alla capanna Borgna (1912m) in questa stagione, e con un gran sole, è un percorso che purtroppo sottovalutiamo: dall'auto posta a 30 minuti sotto i Monti della Gana (1286m), impieghiamo 4h e 25min per entrare tutti quanti in rifugio. Non c'è stato alcun pericolo ma solo la fatica dovuta alla neve del lungo traverso dopo la Forcola (1709m) che era piuttosto farinosa e per nulla ghiacciata: del resto quella costa in questa stagione prende davvero poco sole vista la sua completa esposizione a ovest...
Fatica a parte, l'ascesa regala panorami molto vari e colori spettacolari al debole, ma piacevolmente percepibile, sole di questa stagione.
la Forcola (1709m)
Prima dei Monti della Gana, la sbarra ci ostruisce il passaggio e ci costringe a una mezz'ora su asfalto prima di giungere in paese (l'anno scorso eravano arrivati fin qui in auto). Anche questa volta scegliamo la via più breve per la capanna che viene data a 2h 40min. La salitella al sole è davvero piacevole e fino all'alpe di Sassello (1673m) passiamo per a) la cappelletta a 1498m godendoci il suo impagabile panorama, b) per alcuni tratti di traverso in ombra con tronchi franati e neve più ghiacciata, e c) lungo ampi e assolati pezzi di sentiero dove la vista incontra la Cimetta di Orino (1787m) e la retrostante alpe di Mognone (1463m), luogo caro al S.E.I..
CP e Esteban lost at 1760m...
Fin da sotto l'alpe di Sassello partono numerosi sentieri di cacciatori, numerosi e ben tenuti: davvero troppi agli occhi di CP, e quasi indistinguibili dal sentiero vero e proprio, tanto che CP manca un segno e porta l'ignaro Esteban con sé a svalicare 40m sopra il passaggio della Forcola. Siamo "persi", ma almeno la vista si allarga su Madone (2395m) e Pizzo di Vogorno (2442m). 
Il tempo di scendere a intercettare gli altri tre (che seguono il sentiero giusto) e di risalire, che anche Esteban s'è dato alla macchia raggiungendo, dalla cresta, il resto del gruppo passando su neve non pericolosa. Fa così anche CP, e ci ritroviamo, dopo la Forcola e la sua ripida salita sulla destra che fa guadagnare molta quota, tutti insieme sul traverso.
sul traverso con Pizzo di Vogorno e Madone
Qui si inizia a rallentare, tanta la neve, e tutti fanno fatica: sia quelli senza che quelli con le ciaspole sprofondano nella traccia. Incontriamo una coppia di giovani che arrivano di fronte a noi (e che il giorno prima erano in capanna Albagno) che, leggerissimi, si dileguano per il sentiero senza quasi lasciare traccia. Esteban si stufa, e prova per un'altra via, ma non ce n'è: alla fine il sentiero è uno e entriamo praticamente tutti insieme all'alpe Borgna alle ore 15:40.
Iniziano così sia il meritato svacco a base di tè, pane di segale, speak e mortadella, biscotti (un mix da favola!) che il lungo tramonto e tanto trasparente che si vede il Monviso. Ci diamo da fare pensando ai preparativi per la cena.
passo di Ruscada (2069m) al tramonto
La fortuna, ma soprattutto il bel tempo e l'esposizione della capanna, vuole che ci sia acqua corrente nella fontana appena fuori la capanna, dettaglio questo che ci risparmia il lento scioglimento della neve. Purtroppo, a differenza dello scorso anno, dentro la capanna non c'è luce: la batteria dell'impianto fotovoltaico è fuoriuso, la cosa è nota ai gestori che ci invitano alla pazienza ("ehh...pace").
L'atmosfera molto intima della capanna al lume delle frontali viene scaldata dallo sfrigolare dell'aglio che si dora nel burro (che immagine...), momento questo fondamentale nella preparazione della polenta uncia che ci mangeremo dopo l'immancabile aperitivo a base di focaccia impastata e cotta in loco, questa volta divisa a metà tra porri e cipolle per incontrare i gusti di tutti. La sera scorre morbida, fuori una stellata da paura. 
passo di Ruscada (2069m) e cresta del "Madonetto"
Al mattino non tutti sono intenzionati alla passeggiatina, solo CP che allora sale tutto solo soletto verso il passo di Ruscada (2069m) che raggiunge in 20 minuti su neve piuttosto ghiacciata. Molto pregevole la vista da lì! Spazia sulla Cima dell'Uomo e sulla valle dell'Alpe di Ruscada che scende ricongiungendosi ai Monti della Gana e permettendo il collegamento con l'alpe di Orino e con l'alpe Mognone. Scendendo, alle 10.20, sono raggiunto da un vero califfo della montagna che sale e andrà sia sulla Cima dell'Uomo che sul Madone. "Sei mai stato sul Pizzo di Vogorno? E' bellissimo...", ma quello ancora mi manca. Sarà per una prossima volta, magari non da qui ma dalla capanna Bardughè.
Cima dell'Uomo (2390m)
Una volta sceso, trovo gli altri già pronti al disimpegno della capanna. Firmiamo il registro, lasciamo più legna di quella trovata (la firma del S.E.I.) e facciamo il sentiero a ritroso senza incontrare nessuno fino alla cappelletta a 1498m dove ci ferimamo per il pranzo. Il pomeriggio terso e assolato fa da cornice al nostro riposino meridiano prima di completare il sentiero e di salutare, per ora, questi luoghi davvero splendidi.
Si chiude così un 2013 molto ricco di belle escursioni: che sia d'augurio per un 2014 altrettanto!
Alla prossima,
CP

domenica 17 novembre 2013

Capanna Cava - Forcarella di Lago

capanna Cava U.T.O.E. (2066m)
 e Pizzo di Strega (2911m).
La meta di questo giro di mezzo autunno è la val Pontirone, uno splendido ponte naturale tra la Riviera e la val Calanca, ed è solo all'ultimo, lasciata l'auto tra Fontana e Biborgh, che optiamo per la capanna Cava rispetto all'alpe di Giümela che terremo buona per un futuro giro di mezza stagione. Ci convince il fatto che lo scenario in capanna Cava sia più "aperto" rispetto al buco che ci aspettiamo essere l'alpe di Giumela, che il tempo sarà splendido e che, dalla fondazione del S.E.I., una presenza femminile ingentilisce una nostra vera gita (a dire il vero non è la prima presenza femminile, ma le escursioni all'alpe Cingòra non sono "vere gite"...). E dove la portiamo, quindi, nel buco??? Naaa....
verso il Ponte di Cengio (1216m)
E allora, via! L'ascesa alla capanna Cava U.T.O.E. avviene tutta lungo la strada che, ora, troviamo battuta da una traccia di motoslitta e pneumatici. Invero, la capanna  Cava è luogo dalle molte motoslitte in inverno, ragion per cui abbiamo pensato bene se andarci o meno....ma il caldo che arriva ci fa ritenere (a ragione) che ne incontreremo davvero poche. Scendiamo da  Biborgh verso i due ponti sul fiume Lesgiuna per iniziare la salita su (poca) neve battuta fino alle alpi Fontài e di Sceng. Da qui sopra, le tracce di motoslitta e di jeep spariscono e si batte una traccia leggera nei 25-30 cm di neve più fresca che è depositata sulla strada. Ci troviamo alla chiusura della val Pontirone e, salendo, la imponente pala di vetta del Torrent Basso alla nostra sinistra ci fa da riferimento. Arriviamo all'alpe Cava in ordine sparso.
Torrent Basso (2820m)
Percorro gli ultimi 60 metri di dislivello alle ore 15.00 con la visione della capanna già in ombra, ombra che valuto sia scesa da una mezz'ora buona.
L'impressione della capanna, conoscendo gli ottimi standard U.T.O.E., è di un luogo lasciato di gran fretta al momento della chiusura: c'è sporcizia in giro nel locale cucina, tutto un po' raffazzonato ma, in generale, ok. L'ampia legnaia contiene un sacco di legna per l'accensione immediata della stufa. Ci diamo a un pranzo-spuntino a base di....doni. Dolci da Dubai (frutto della gita di Nando nel lontano Levante), mango essiccato di Taiwan (dono Presidenziale) e formaggi d'alpe accompagnati da del tè di prima categoria: un regalo al S.E.I. di Esteban dalla sua visita a Ceylon lo scorso anno.
Pizzo di Strega  al tramonto
I dolci arabi non sono l'unica leccornia, dopo una buona dose di partite a carte e giretti nei pressi della capanna, la cena da califfi vede la preparazione di due focacce (sì, due...) impastate dall'ottimo Nando: la prima condita con il gorgonzola, l'altra con la  'nduja calabra. La zucca mantovana la si mette intera in forno per poi "svuotarla" durante la preparazione del risotto. Ed ecco che arriva la sera. Il Pizzo di Strega al tramonto si tinge di un colore da "enrosadira". Si attende solo la cena ristoratrice, la quale arriva con il suo nutrito carico di alcooli, ultimo dei quali è il sakè invecchiato, dono del Segretario. E' la gita dei doni, questa.
Partite a carte e cieli stellati con luce soffusa da immobile neve fanno da cornice alla serata. Il riposo dei giusti giunge lieto, senza che gli si opponga resistenza alcuna.
Forcarella di Lago (2256m)
L'indomani è di sole, gran sole. Appena pronti ci dirigiamo allora, verso le 9.30, a guardare giù dalla Forcarella di Lago a quota 2256m. Delle avanguardie si sono svegliate per vedere l'alba e la carezza della luce del mattino sulla valle sottostante. La Forcarella di Lago si trova di fianco alla Cima di Biasca 2574m e riusciamo a seguire quasi tutto il sentiero segnato sulle rocce, qua e là indovinando il tracciato camminando su un bel po' di neve non ghiacciata. La salita non presenta difficoltà: vedendo bene la meta si sceglie come avvicinarla in tutta sicurezza sul versante.
traccia verso la Forcarella
La vista dal passo è notevole!
Sotto di noi, un ripidissimo sentiero consente il tuffo nel lago e, di fronte, subito dietro la catena di monti della Levantina, i 4000 del Vallese fanno bella mostra di sé. Dopo una giusta crogiolata al sole torniamo in capanna dove cuciniamo, pranziamo e giochiamo a carte un'ultima volta. Prima di andare via rassettiamo tutto, lasciamo molta legna tagliata e pronta, firmiamo il registro e iniziamo il percorso di ritorno lungo la stessa strada dell'andata. L'aspetto negativo è che entreremo dentro la coltre di nuvole che,  come un soffice materasso, vediamo estendersi dai 1500m in giù, ma che si vuole..

Saluti al sole...
Giù verso l'umido fondovalle
 Lasciare l'aria sottile e secca per entrare nell'umido fondovalle è il ciclo di ogni gita che, imperituro, si compie prima della prossima volta, prima di ritrovarci ancora una volta in un qualche altro scenario di contatto tra Terra e Cielo. Sulla montagna.
Ciao!
CP

domenica 20 ottobre 2013

Capanna Ribia, val Vergeletto

Questa nuova avventura del gruppo S.E.I. si indirizza verso un rifugio in val Vergeletto, la capanna Ribia. Anche se la giornata comincia con un piccolo incidente, tutti siamo subito consolati dai panorami e dal sole che splende, alla faccia del nostro meteorologo di fiducia.
Quasi subito raggiungiamo a 1089 m il piccolo gruppo di case che porta il nome di Pièi, per poi addentrarci in un bosco di betulle e altre essenze, con un occhio di riguardo agli eventuali frutti che questo offre, soprattutto in autunno. Il sentiero sale ripido senza particolari difficolta'IMG_9379 tecniche, riservando bei scorci di montagne e cieli solcati da nuvole raminghe.
Dopo l'alpe di Pianaccio, 1585 m, la stretta via molto ben segnata tra i larici concede forse un paio di tratti di falsopiano, poi risale diritta tra rocce, torrenti ed erba ingiallita dai primi timidi freddi. Con il diradarsi dei larici che sono ancora quasi del tutto verdi, compare la prima neve in rapida dissoluzione sotto il sole ed il clima mite della giornata. Pare primavera avanzata.
Con un'ottima performance di ascesa raggiungiamo la capanna Ribia (1996 m),IMG_9402 costruita appena sotto il crinale che la separa da altri rilievi. La vista da qui domina le montagne e le valli a sud. Il rifugio aperto tutto l'anno è di proprieta' del patriziato d'Onsernone ed è dotato di stufa, legna, camino, occorrente per cucinare, pannelli solari, 12 posti letto con coperte. Dopo un breve pasto e la degustazione di tè verde proveniente diretto-diretto da Taiwan, decidiamo che appare illogico non sfruttare IMG_9413appieno la giornata, quindi andiamo in su', verso il Salarièl (2316 m). La salita fino alla bocchetta a 2241 metri è facile; da qui il panorama si amplia, consentendo l'osservazione delle alpi verso nord-est. A sud-ovest, nella foschia, sembra di individuare la sagoma del Mt. Rosa.
Il tardo pomeriggio e sera passano in rifugio, rispettivamente preparando la cena, sparando cavolate e quindi apprezzando la focaccia,IMG_9433 polenta e spezzatino da noi preparati.
Come previsto la domenica mattina ci accoglie con nuvole basse e vaporizzate gocce di pioggia; a questo punto non resta che tornare a valle, non prima di aver consumato parte degli avanzi della cena, messo in ordine la piccola ma confortevole capanna e dato un occhio al libro dei rifugi nel quale spiccano nomi noti al S.E.I. e...
un gruppo di olandesi "Ladyboyz"; "ladyboy" e' goliardicamente (ma con rispetto) la parola chiave della piacevole due giorni, e probabilmente entrera' nel gergo del S.E.I., auspicando che i suoi componenti non cambino troppo di carattere. Ma questo solo il tempo sapra’ raccontarlo.
Esteban  

sabato 5 ottobre 2013

sulle Alpi giapponesi in esplorazione

Trasferta giapponese per il segretario S.E.I., ospite a Kobe dell'amico Goro. Dopo dieci giorni di lavoro, il programma prevede un'escursione sulle Alpi Settentrionali del paese del Sol Levante. In particolare, la meta scelta è particolarmente appetibile, e gettonata, nel periodo autunnale, per via dei colori che, alle alte quote, sono al massimo del loro splendore proprio in questo periodo.
La partenza è da Kobe alle 14 di giovedì 3 e, con Goro alla guida, si percorrono le 5 ore di autostrada necessarie per arrivare a Toyama. Durante il viaggio ho modo di osservare le diversità del paese che mi ospita: fino a quando ci muoviamo nell'area urbana di Kobe-Osaka-Kyoto, l'autostrada sembra una nostra tangenziale urbana: ci si muove tra due eterne barriere anti-rumore, sovrastati dai grattacieli delle città che scorrono ai lati. Lasciataci Kyoto alle spalle, il paesaggio cambia rapidamente, e drasticamente. Ci si muove in una campagna non troppo popolata, puntellata da piccole risaie e paesini formati da graziose villette basse, allo stesso tempo caratteristiche e moderne. Siamo ad est del grande lago Biwa che, mi spiegano, separa il Giappone orientale da quello occidentale.
Tutto sommato, direi, una campagna vivibile, molto di più delle grandi città, un pochino alienanti per i nostri standard. Quindi, finalmente, cominciano le prime montagne, e qui la sorpresa è ancora maggiore. Abituato alle Alpi, ovunque popolate di paesini, alpeggi, insediamenti di media quota, trovo qui una netta separazione tra un mondo antropizzato, quello delle città e delle campagne, e un altro dove essenzialmente non c'è nulla. Già le prime colline appaiono rivestite da un bosco fittissimo e continuo, e tra l'altro dotato di un sottobosco impenetrabile rispetto a quanto siamo abituati. Ci sono, qua e là, dei castagni, ma ho l'impressione che qui raccogliere le castagne non sia semplice come da noi: per uscire dalla strada o dal sentiero pare volerci il machete, se non la motosega.
Mi spiegano che queste foreste di media quota sono popolate da orsi (non considerati pericolosi), cinghiali (già più molesti) e scimmie (considerate particolarmente fastidiose anche a causa della loro curiosità). Quindi cala il buio e, faticosamente, percorriamo il tratto di costa nord che ci manca per arrivare a Toyama. Qui troviamo un altro amico giapponese che verrà con noi e abbiamo modo di consumare un'abbondante e ottima cena.
Il mattino dopo, la partenza è assai presto (poco dopo le 5) perché dobbiamo prendere la teleferica prenotata per le 7 in punto in partenza dalla stazione di Tateyama. Quest'orario è anche motivato dal fatto che in Giappone non c'è l'ora legale, e quindi alle 6 di sera è già buio in questa stagione. Dunque, dopo un'altra oretta di macchina (con qualche brivido a causa di un paio di errori di percorso), arriviamo al punto di partenza, un fondovalle alpino a 475 metri di quota, dove comincia la "Tateyama-Kurobe alpine route" e dove bisogna lasciare la macchina per affidarsi ai mezzi pubblici.
Infatti, mi spiegano, nella maggior parte delle aree escursionistiche-naturalistiche più famose, l'accesso è fortemente regolamentato e consentito solo tramite questi sistemi di funivie-teleferiche-bus o combinazioni di mezzi. Nel nostro caso, il programma è prendere una teleferica che porta fino ai 1000 metri circa e quindi un autobus che, in un'ora, percorre una strada chiusa al traffico privato portando fino ai 2450 metri del rifugio di Murodou, da dove partono le escursioni. Il percorso, specialmente quello in bus, è parecchio interessante e conferma le impressioni che già avevo avuto il giorno precedente.
La strada, larga e comoda, si snoda nella prima parte attraverso un bosco densissimo e continuo di alberi di alto fusto (prevalentemente cedri giapponesi, alcuni faggi, e altre essenze locali che non so identificare). A fianco della strada si incontrano al massimo un paio di costruzioni, che peraltro sembrano abbandonate, e anche il sottobosco, fino almeno ai 1600 metri, è una specie di giungla, tanto che i pochi sentieri che si vedono partire dalla strada sono costituiti da lunghe file di passerelle di legno, altrimenti verrebbero velocemente invasi dalla vegetazione. 
Il concetto di maggengo o prato di media quota qui non c'è. Sopra i 1600 il paesaggio cambia e la vegetazione arborea cambia: si entra in un amplissimo plateau rivestito di alberi bassi (aceri, betulle, conifere) che in questa stagione hanno una meravigliosa varietà di colori. La pendenza contenuta e l'ampiezza del luogo mi fanno pensare a un paradiso per lo sci alpinismo d'inverno. Mi chiedo però come i locali possano arrivarci, dato che a novembre il servizio di trasporto pubblico chiude e la partenza da quota 475 senza punti d'appoggio intermedi non pare logisticamente troppo semplice. Questo è probabilmente il luogo più bello di tutta la zona, ma potrò vederlo solo dal vetro del bus. Non mi è chiaro se ci siano sentieri che attraversano la zona: probabilmente sì, anche se mi pare che l'attenzione dei locali sia tutta per le zone di alta montagna dove finalmente il bus ci fa sbarcare.
Arriviamo dunque alla stazione di Murodou, dove ci rendiamo conto di essere comunque in Giappone: un edificio gigantesco (almeno in rapporto al luogo in cui si trova) con negozietti e ristoranti di tutti i tipi, biglietterie con commessi in livrea e viaggiatori in ordinate code, eccetera eccetera. Fuori un enorme parcheggio occupato solo da bus (nemmeno i lavoratori della stazione o dei rifugi hanno il permesso di usare l'auto privata per raggiungere il posto: vi immaginate la stessa cosa, che so, al passo dello Stelvio?). La zona è una caldera vulcanica, ovvero una sorta di vallone incorniciato da cime intorno ai 3000. Il programma è salire una di queste, il monte Oyama. Ciò vale a dire che in un luogo già affollato andiamo a prendere il sentiero numero uno. Risultato: slalom tra una fila ininterrotta di persone. 
In compenso, almeno dai 2700 metri in poi, il percorso non è poi così elementare, sembra un po' la Cermenati alla Grignetta, ma più impervia e sassosa, e bisogna stare attenti a non muovere pietre (e soprattutto a schivare quelle che potrebbero arrivare dall'alto, visti anche i personaggi improbabili che salgono). Arrivati in cima, c'è un tempietto-bazaar e un notevole panorama su tutta la caldera e le montagne circostanti. In lontananza, in mezzo alla foschia, le mie guide locali mi indicano il cono del Fuji-San. 
La cosa che impressiona di più sono i colori degli alberi, degli arbusti, dell'erba (a detta di tutti questa è la stagione migliore per visitare la zona). Si vede però anche il rovescio della medaglia: in Giappone ci sono poche zone di alta montagna e i turisti/escursionisti che vogliono venire qui sono frotte. Dunque nel vallone sono costruiti almeno 5 o 6 rifugi di dimensioni ragguardevoli, a poca distanza l'uno dall'altro, più un camping. Le strutture sono curate e confortevoli, ma la loro dimensione è un pugno in un occhio. Inoltre qui non c'è una vera "architettura di montagna", quindi il loro aspetto è anonimo e non si integra, per i nostri standard, con l'ambiente attorno. Il resto della giornata prevede la salita ad un'altra cimetta, discesa, onsen, cena (alquanto standard) e nanna in uno dei rifugi. Eseguiamo ed imparo anche un giochetto di carte giapponese: non mi entusiasma, ma trovo che sia adatto ai bambini. Farò il test. Il giorno dopo programma più limitato, perché il meteo è previsto cambiare: si scende nel fondo del vallone, si risale a un passo da cui si vede al di là della caldera, e si torna. Nella prima parte del percorso si segnalano soprattutto le fumarole e la relativa puzza di zolfo. In certi punti si tossisce e ci si copre col fazzoletto. 
il buco nipponico!
Assicurano però che, almeno a piccole dosi, non è tossico. Ringrazio del fatto che il rifugio in cui abbiamo pernottato non è quello vicino alla zona malsana dei geyser. Saliti al passo (quota 2550 circa, se ben mi ricordo), si vede cosa c'è al di là della caldera, e mi accorgo che le montagne non finiscono affatto; anzi, le Alpi settentrionali vanno avanti parecchio, sono solo più basse della zona in cui siamo. In particolare mi colpisce che sotto di noi si apra un vallone selvaggio e bellissimo, un vero buco-S.E.I., il cui fondovalle, almeno la parte che vediamo da lassù, si trova 3-400 metri sotto di noi ed è occupato da arbusti ed alberelli di ogni colore. Chiedo a Goro di guardare la mappa per vedere se ci sono sentieri che scendono in quel paradiso e scopro che non solo non ci sono sentieri che scendono, ma che il vallone scende per chilometri senza che ci sia nulla. Dal basso arriva una strada (forestale probabilmente) fino circa a quota 1300, ma dalla fine della strada non partono sentieri, né sono indicate costruzioni nella zona. Anche le altre valli parallele sono perlopiù zone grigie sulla mappa. So che non è come da noi, che lì un bosco di media quota è una giungla impenetrabile popolata da orsi, cinghiali e scimmie. Però sarebbe bello lo stesso provare a vedere com'è.
Chiedo a Goro come ci si va, e ovviamente mi risponde che non ci si va, perché non ci sono sentieri; inoltre anche la strada non è chiaro se sia aperta al traffico privato., dunque probabilmente occorrerebbero molti chilometri a piedi partendo dal villaggio più vicino (oltre, ovviamente, al machete per quando ti avventuri nel bosco).
Si torna quindi a Murodou, ancora più affollato perché è sabato, quindi bus-funivia-auto (5 ore) fino a Kobe, dove mi rendo conto di essere stanco morto. L'escursione, anche se di lunghezza contenuta, fatta all'altro capo del mondo e dopo due settimane di lavoro e scarso sonno, mi ha provato ben più di certe avventure sulle nostre alpi. Sono contento, alla fine, che presto mi aspetta un aereo per l'Italia.
Alla prossima!
Nando

sabato 14 settembre 2013

Cima di Val Loga e bivacco omonino (ex Cecchini)

Il maletempo previsto constringe il S.E.I., in formazione due soci e due simpatizzanti, a un'insolita uscita in giornata e il luogo prescelto, caduta la meta Monte Emilius, è il bivacco Cecchini sotto la Cima di Val Loga (3004m) e nei pressi del ghiacciaio del Piz Ferrè (3103m).
la val Loga e anitcima a 3092m
di Piz Tambò (3279m)
La partenza è il paese di Montespluga (1900m) che raggiungiamo in auto. Per arrivare al bivacco occorre risalire la val Loga, una valletta glaciale chiusa a ovest da una fila di monti che separa l'Italia dal cantone dei Grigioni con il Pizzo Tambò (3279m) più a nord, e dall'altra parte la Loga e il Ferrè.
Il fondovalle è tutto un pascolo senza un solo albero, e ne attacchiamo la risalita intorno alle ore 11.00 (un po' trdoppo tardi...) sotto al sole. Il bivacco Cecchini (2740m) si inizia a vedere distintamente già quando siamo a metà valle e, guardando indietro verso Montespluga, si vede  anche il ghiacciaio della Suretta, sorto da tempo.
Montespluga e Pizzo Suretta (3027m)
Seguiamo i segnavia per i lunghi pascoli e qualche acquitrino odoroso dei molti escrementi bovini che, fortunatamente, spariscono non appena la salita inizia a diventare ripida.
Copriamo l'intero percorso in poco meno di due ore. In bivacco non siamo soli: c'è un uomo, Mauro, un abituè di questi luoghi, e una coppia di signori della Brianza che, come lui, bazzicano da tempo questi luoghi. Si annuvola con nubi alte.
bivacco "Val Loga" (2740m) e Suretta
Dal bivacco si vedono chiaramente il solitario e maestoso Pizzo Stella (3163m) e, dietro a esso, il Cengalo (3369m) e il Badile (3305m) più a sud dei quali stanno gli altri graniti del comprensorio di valli ben note al S.E.I.. Più a nord si vedono montagne che non conosco: quelle dietro al passo Spluga e dell'alta Engadina. Il bivacco ha cambiato aspetto e nome: da Cecchini ora si chiama bivacco "Val Loga", non è un lamierone ma un prefabbricato tutto di legno e la sua gestione è del CAI di Montespluga. Dentro c'è un tavolo, panche e sgabelli, nove posti letto con cuscini e coperte, e una cucina a gas con poche dotazioni. Coperte a parte, non c'è nulla per scaldarsi.
Piz Ferrè (3103m)
Avendo con noi la caffettiera, ci facciamo subito un caffè (non c'è te') e ci ripariamo dal vento stando dentro. Pranziamo frugalmente e poi ci incamminiamo verso la Cima: malgrado abbiamo con noi piccozze e ramponi, non ce la sentiamo di provare a camminare sul ghiacciaio neppure fino al colle a destra del Piz Ferrè a quota 2944m: ci appare tutto troppo lontano. Per  un po' i segnavia azzuro-bianco-azzurro (già svizzeri anche se siamo in Italia) sono comuni con il percorso che porta sul Piz Ferrè, ma perdiamo il punto dove gli ometti segnano il bivio per la Cima di Val Loga e così, un po' a casaccio tra i pietroni, arriviamo a 2995m presso una cimetta esattamente a metà tra i due.
davanti a Steacco sta
la Cima di Val Loga (3004m)
Spettacolo! Dietro si vede il Rosa e i giganti del vallese già circondati da una coltre di nubi alte, più densa sul biellese, e che, tutto sommato, ci mostra come il maltempo atteso stia proprio arrivando. Scendiamo in bivacco, giusto il tempo di una scopetta e di un po' di vodka, poi salutiamo la combriccola di quattro giovanotti milanesi che nel frattempo è salita qui, firmiamo il registro e iniziamo a scendere per lo stesso percorso della salita.
Siamo in auto alle ore 18.15: il tempo di un altro caffè al bar e ci rimettiamo in strada. Beh, dai. Questi quattro passi sono stati divertenti in un posto panoramico, ma speriamo in una situazione meteo migliore già dal prossimo fine settimana per nuove avventure.
Alle future mete!
Evviva il Presidente!
Evviva il S.E.I.!
CP

giovedì 22 agosto 2013

Sciliar e Sasso Piatto (rifugi Bolzano e Sasso Piatto)

lo Sciliar (2563m) dal terrazzo a Siusi


Quest'anno il giro agostano sulle Dolomiti porta me (CP) e Andrea (PD) sullo Sciliar e sul Sasso Piatto, i due monti essendo collegati da un'agevole traversata di circa 10 Km.
Patiamo da Siusi per far ritorno nello stesso luogo dopo due pernotti in due posti molto differenti immersi nello scenario incredibile di queste montagne.
Inutile descrivere gli avvicinamenti, i bivi, e le cose tecniche dei sentieri: se si fa escursionismo in Alto Adige è tutto incredibilmente segnato, mantenuto, curato. 
mitico! Enrosadira sul Catinaccio
Basta avere una carta 1:25000 della Tabacco del luogo prescelto, e poi seguire le indicazioni bilingua dei cartelli di legno (o monolingua! Segno che l'annessione all'Italia è ancora un nervo scoperto qui...) o seguire le indicazioni dei segnavia che, con ferreo puntiglio alemanno, riportano dipinto spesso anche il numero del sentiero.
Ecco in breve quel che abbiamo fatto:


Primo giorno: Siusi (1000m), Laghetti di Fie' (1050m), malga Tuff (1240m), malga Seggiola (1940m), rifugio. Bolzano (2540m).
Partenza da Siusi alle 9.36 e arrivo al rifugio Bolzano alle 14.10.
-----------
Laghetto di Fie' (quello basso)
Durante il lungo traverso da Siusi ai laghetti si sta al fresco nel bosco, e sopra i laghetti si aprono larghi prati dove sorge la malga Tuff. Sopra di essa c'è la parte più interessante del sentiero. 
Qui, nella parte più meridionale dello Sciliar, la valle si stringe tanto da non consentire la presenza del sentiero e allora, sopra il torrente, è stato costruito un sentiero su passarelle di legno sorrette da un'incredibile infrastruttra di traverse di ferro zincato avvitate nella roccia che sostiene il tutto. Tutto questo per consentire il passaggio delle mandrie di mucche e cavalli durante il susseguirsi delle stagioni. Sulla mappa tale passaggio è indicato come "Prugetweg" (e Google translator non me lo traduce..).
superbo lavoro tra le gole
Così, dopo l'attraversamento delle ripide gole del torrente stando comodamente sul legno delle passarelle, arriviamo in malga Seggiola e facciamo una lunga pausa (30 min) bevendo latte appena munto. Ora si sale lungo un ripido costone di prato così da prendere quota rapidamente e assistere al sorgere del Catinaccio sul sentiero! Infatti, 300m sotto il Bolzano, con le sue ruvide cime e i giochi d'ombra dei sui canali incassati, si fa presente al viandante, piano piano, tutta l'enorme incombenza del Catinaccio. Ho la fortuna di vederlo apparire sullo sfondo di bradi cavalli al pascolo. Il rifugio Bolzano è una struttura piuttosto antica e massiccia, ora molto frequentata e ben organizzata (per stare qui oggi ho prenotato per telefono 5 settimane prima). Si trova sul pianone che porta comodamente sulla cima dello Sciliar, ovvero sulla cima del monte Petz (2563m). Naturalmente non ci facciamo mancare né la puntatina su questa vetta né sul sasso (con vecchie rovine forse del buon Oswald Wolkenstein?) davanti all'alpe di Siusi a quota 2515m che sta subito prima delle famose punte Santner (2413m) e Euringer (2394m) che caratterizzano il profilo dello Sciliar visto dall'alpe di Siusi.
dal Monte Pez,
il gruppo del Catinaccio
Dalla posizione del Bolzano si vedono tantissime dolomiti: dalle Odle (ovest) al Latemar (est) passando per i Sassi Lungo e Piatto. Poi più dentro si vede la Marmolada, ecc., ecc. Una vista impagabile che al tramonto diventa quel che di più affascinante riservano le dolomiti: l'enrosadira.


Secondo giorno: rifugio Bolzano (2540m), alpe di Tires (2440m), rifugio Sasso Piatto (2300m).
Partiamo alle 8.40 e arriviamo alle 13.05, per l'ora di pranzo. Poi, sul Sasso Piatto (2930m).
-----------
Denti di Terrarossa
Il tragitto è una lunga traversata quasi tutta pianeggiante, gli unici pezzi di sali-scendi (200-250m) si trovano prima del rifugio alpe di Tires dove facciamo una breve sosta, finita la quale ci concediamo una piccola deviazione per andare alla forcella dei Denti di Terrarossa (2499m) e vedere il sentiero che sale qui dall'alpe di Siusi: nonostante la bruma che lo avvolge capiamo che c'è in giro, e sta salendo, molta gente. Riprendiamo il cammino. Ora si scende piano fino al passo di Duron lambendo la splendida valle di Duron che sale fin qui da Campitello, in val di Fassa. Da un'altra apertura lungo il sentiero ci godiamo una bellissima vista sull'alpe di Siusi e fino alle Odle.
il Sasso Piatto, e il suo rifugio
La giornata è splendida e, cammin facendo, raggiungiamo il rifugio Sasso Piatto giusto in tempo per gustarne la sua famosa cucina. Dentro c'è parecchia gente, fuori anche: questo posto è raggiungibile da molte vie, la più semplice delle quali è dai vicini rifugi Pertini e Federico Augusto lungo la traversata in piano per l'omonimo sentiero che parte da sopra Passo Sella.
la Marmolada (3343m) dalla cima
Come impiegare il lungo pomeriggio? Ma salendo sul Sasso Piatto! Verso le 14.30, così, ci mettiamo in marcia. Il sentiero sale per 650m circa lungo il versante assolato di Sasso Piatto ed è tutto su roccette e ghiaia. In certi punti non è agevole, ma guardando le persone che scendono e i segnavia riesco ad arrivare in cima senza problemi. Mi godo il panorama: la vista migliore è quella sulla val Gardena, con Santa Cristina e le Odle, mentre dall'altra parte mi appare il ghiacciaio della Marmolada in tutta la sua sofferenza. Dietro il Sasso Lungo sta il Sella, che intravedo soltanto, e Piz Boè. In basso, incassato, si scorge il rifugio Vicenza. 
Da dove sono è chiaro che la vera cima del Sasso Piatto è quella appena più a est, ma mettere la croce qui è una buona mossa: significa dissuadere l'escursionista poco esperto dal raggiungerla passando sotto il suo ripido versante tutto una ghiaietta sottile...
Catinaccio di Antermoia e il rifugio
La serata scorre all'insegna de "italiani sempre casino" con un simpatico coretto accompagnato da tanto di fisarmonica che alcuni connazionali intonano in sala pranzo dopo cena. La cosa sembra non dispiacere neanche ai pochi ospiti germanofoni rimasti, presenti e attivi ben fino dopo le 21.00(!), a sentir cantare canti di montagna. 


Terzo giorno: rifugio Sasso Piatto (2300m), rifugio Vicenza (2253m), Saltria e Compaccio (1800m ca), Siusi.
Partenza dal rifugio Sasso Piatto ore 8.10, arrivo a Siusi ore 14.30.
-----------
Salutiamo il rifugio abbastanza presto e iniziamo la discesa attorno a Sasso Piatto.
gruppo in marcia per la cima
La mattinata è piena di nuvole basse e nebbiolina le quali impediscono la chiara visione dei dintorni, ma li carica  di un incredibile fascino: passare accanto ai contrafforti di Sasso Piatto che, pallidi, affiorano dalla nebbia, tra dolci scenari di pascoli e pini cembri colorati di un verde carico, è proprio un bel vedere.
Facciamo pausa-caffè al rifugio Vicenza dove già dalle ore 9.30 iniziano ad arrivare persone con la funivia per affrontare le vie ferrate dei suoi immediati dintorni. Scendiamo, e inizia una lunga traversata fino a Saltria dove la vista si riposa cullata dagli ondulati scenari di pascolo.
riposanti e placidi i pascoli...
Volgendosi indietro, si vede la stretta valle del Vicenza e il rifugio posato tra le alte pareti di Sasso Lungo e Sasso Piatto. Mangiamo qualcosa in una malga sopra Saltria, e scendiamo al mega Grand Hotel-$$$ fuori dal quale si prende l'autobus che collega il luogo con Compaccio. Incredibile! Il qui presente senso civico dispone in fila indiana i passeggeri prima di salire, uno per volta, sull'autobus e timbrare. Una ritardataria famiglia romana si adegua all'usanza teutone, e rientra dal fondo della fila.
Compaccio e Sciliar
Ora cambia decisamente il clima: via via si fa più turistico fino al suo tripudio con l'arrivo a Compaccio. Il posto risulta irriconoscibile agli occhi di PD: si ricordava due case in croce, ma era 25 anni fa.
Torniamo in funivia a Siusi nell'albergo-$ dove ci aspetta Annarita e dove ci gusteremo una cena a base di pesce (dopotutto è venerdì...) e un bel Gewurtztraminer.

Evviva le Dolomiti!
Evviva il Presidente!
Evviva il S.E.I.!
Alla prossima,
CP

domenica 18 agosto 2013

Rifugio ai Caduti dell'Adamello - Cima Adamello

La partenza è alle 7:30 all’imbocco della val di Genova. La prima volta sul ghiacciaio per il sottoscritto (Andrea, detto PD) è con gli amici Andrea e Riccardo, che hanno deciso di portarmi fin sull’Adamello. Arriviamo puntuali, carichiamo su una sola macchina tutta la attrezzatura e risaliamo la valle prima che inizi il trasporto con le navette. La mattina è fresca con un bel sole che si alza in cielo mentre percorriamo la lunga valle punteggiata di cascate fino al parcheggio un centinaio di metri sotto il riugio Bedole (m.1640). Ci sono già molte macchine, probabilmente di gruppi già sulle montagne da qualche giorno. Prepariamo gli zaini e per le 9:00 siamo pronti a partire per il rifugio ai Caduti dell’Adamello alle Lobbie. Con noi un gruppo bresciano che salirà alle Lobbie dalla più impegnativa valle del Matarot, mentre noi prendiamo per la valle del Mandrone.


La salita è piacevole nel fresco del bosco. Senza correre arriviamo al rifugio Mandrone (m.2442) in un paio d’ore fermandoci a fotografare la testata della valle e i ghiacciai che iniziano ad aprirsi. Al rifugio ci fermiamo a prendere una fetta di torta. Altre persone stanno sono dirette alla nostra meta, tra cui un ragazzo con un enorme zaino pieno di attrezzatura fotografica: macchina, obbiettivi, cavalletti. Tutto sembra molto pesante, ma le foto in quota alle stelle cadenti per la notte di San Lorenzo saranno la giusta ricompensa. Ripartiamo alle 11:30 per il ghiacciaio. Il sentiero percorre la testata della val di Genova rimontando la morena e superando torrenti e laghetti di fusione.


In un’ora siamo superiamo l’ultima altura e arriviamo alla base del ghiacciaio (m.2500). La temperatura cala sensibilmente appena mettiamo piede sul ghiaccio. Davanti a noi la lingua glaciale è priva di neve ed i crepacci colano fiumi d’acqua. Mentre prepariamo la attrezzatura per proseguire, vediamo molte delle persone incontrate sul sentiero provenienti dal Mandrone fermarsi e tornare indietro, soltanto due rimangono e ci faranno compagnia nella traversata. Sono le 13:00 quando riprendiamo la marcia. Attraversiamo la lingua glaciale e cerchiamo una via di salita che eviti i crepacci. Arriviamo quasi alle rocce sotto le Lobbie prima di riuscire a risalire, evitando di passare troppo vicini alle pareti della montagna che ospitano grossi massi in bilico. Il ghiaccio lascia il passo alla neve e la salita continua su un vecchio nevaio. Un ultimo sforzo e raggiungiamo il rifugio. Sono già le 14:30 (il sottoscritto è un poco pant).


Abbiamo impiegato molto, ma lo spettacolo del panorama dal rifugio Caduti dell’Adamello merita ogni sforzo (m.3020). Uno scenario reso ancora più suggestivo poche ore dopo dalle luci del tramonto. Andiamo a dormire presto per essere in forze per il giorno successivo. Ci aspetta la lunga traversata del Pian di Neve e la cima dell’Adamello. La mattina ci alziamo alle 5:00 e siamo pronti alla partenza per le 6:00. Purtroppo siamo in ritardo e questo condizionerà in parte la nostra salita. Ci leghiamo in cordata e scegliamo di non scendere subito sul ghiacciaio, ma di rimanere a mezza costa su una traccia che passa tra nevai e roccette. Questo ci permette di non perdere quota e di evitare i crepacci.

Il percorso è lungo ma non faticoso. Alle 8:30 abbiamo raggiunto una sommità all’altezza del Corno Bianco da cui vediamo sia la traccia che risale dal Mandrone, sia quella che si dirige all’Adamello. Davanti a noi si apre il Pian di Neve. Proseguiamo vedendo tre piccole cordate poco davanti a noi che arrivano dalla val Camonica. A sinistra dal fondo valle lombardo salgono sbuffi di nuvole che minacciano di ricoprire il ghiacciaio Il cammino prosegue nel silenzio e nel bianco. Alle 9:00 vediamo che la traccia si divide (m.3250). A sinistra la via normale compie un ampio arco da sinistra a destra per colmare il dislivello finale. A destra la via diretta che permette di risparmiare un’ora ma punta verso un percorso su roccette per accedere alla cima. Essendo partiti tardi decidiamo di percorrere la via diretta. Alle 10:00 arriviamo alle roccette (m.3450), ovvero alla cresta est dell’Adamello. La cima è a pochi passi, ma occorre salire per corde con brevi passi di arrampicata. La fatica è troppa e non me la sento di continuare. I miei amici proseguono e in breve toccano la vetta (m.3539), ma purtroppo le nuvole coprono il panorama lasciando in vista solo il Pian di Neve.




Il ritorno è veloce e diretto verso il fondo valle, partiamo alle 11:00 ed alle 13:30 siamo sulla lingua finale del ghiacciaio delle Lobbie. Poi ci rilassiamo e torniamo con molta calma a valle dopo aver fatto una lunga pausa al rifugio Mandrone.

Spero la prima di nuove gite sul ghiaccio. Ancora un grazie ad Andrea e Riccardo che mi hanno portato per queste vette.

Alla prossima.

PD.

domenica 4 agosto 2013

rifugio Perucca - Col de Vofrède

In questo giro agostano siamo ben tre soci S.E.I. [Adriano, Andrea (PD), e CP] e ci dirigiamo verso le frescure valdaostane mentre il pavese è squassato dalla caldazza più umida. La meta del sabato è il rifugio Perucca-Vuillarmoz (2980m) in Valtournenche sotto una bella corona di montagne comprese tra il Colle di Valcornera (3072m) e il Col Bella Tsa (3044m) le cui vette principali sono la Punta di Fontanella (3382m) e il Monte Dragone (3354m). Arrivare al Perucca non è niente male: si attraversano luoghi piacevoli, la vista spazia sempre, si passa in diversi luoghi dove sostare più o meno comodamente. 
inizia la salita!
Lasciamo l'auto a Barmasse, una frazione di Valtournanche, attorno alle 11.00 del mattino e a circa 1500 metri di quota. La prima parte del sentiero è tutta ancora nel bosco. Mentre saliamo la vista si allarga fino a scorgere la bianca cupola della Gobba di Rollin (3902m) dietro a cui fa capolino la cima più occidentale del Breithorn. Arriviamo sotto la diga del lago di Cignara e gli alberi iniziano a sparire: da qui in poi si è sotto il Sole, che fortunatamente va e viene dietro le nuvole e la temperatura è decisamente accettabile. Facciamo sosta al rifugio Barmasse (2169m) dove numerose compagnie di persone fanno pranzo. Fin da qui si vede il Perucca tra le montagne già citate a nord del lago.
La chiesetta al limite nord del
lago di Cignara
Dopo una ventina di minuti riprendiamo il cammino lungo la strada che costeggia tutto il lago sulla sponda orientale. Incredibile colore è quello del lago di Cignara! Un azzurro acceso come avevo visto solo a Rosignano Solvay (ebbene sì...): che le rocce circostanti siano carbonatiche? In riva alla punta nord del lago ritroviamo la cappelletta che numerosi anni fa ci offrì riparo quando ci precipitammo giù dal bivacco Rivolta (2906m, sotto il Col de Fort) durante un lungo temporale. Raggiungiamo la malga al termine della strada, siamo a quota 2300m, e pieghiamo a sinistra, seguendo l'indicazione del cartello per il Perucca e i segni a terra. Andiamo piuttosto agevolmente fino alla base della cascata che si deve aggirare sulla sinistra. Numerosi laghetti si trovano nei paraggi. In cima alla salita si trova il bivacco Manenti (2790m), un dignitoso lamierotto da due posti (volendo tre) che ha spazio solo per le due brande e le coperte. Facciamo pausa a base di melone e un po' di affettato.
rifugio Perucca sotto
il Monte Dragone
Il Perucca dista solo 100m e li copriamo mentre arriva un bel temporale! Entriamo che inizia la grandine... E' un bel rifugio il Perucca-Vuillarmoz, può contare su un impianto micro-idroelettrico che permette addirittura il riscaldamento dell'ingresso dove si lasciano gli scarponi. Dalle 16.30 attendiamo l'arrivo della cena chi facendo un pisolino nell'unico stanzone da oltre 20 posti, chi dissetandosi con una birretta, chi con del thè. Paghiamo il ritrovarci qui nel numero imperfetto per qualunque gioco di carte sensato, e allora il tempo passa consultando libri di foto montane, chiaccherando con i gestori, passeggiando fuori non appena la pioggia cessa.
Col de Vofrède (tutto a dx)
visto dal Perucca
La cena è buona e abbondante, ci viene offerto l'ammazzacaffè. Non siamo soli, ci fanno compagnia due persone (serie) che domani percorreranno tutta la cresta tra i due Colli per salire sopra la Fontanella e il Dragone. Per essere il 2 agosto c'è ancora parecchia neve in giro, e forse questo, insieme al tempo ballerino, sono il motivo della poca presenza di persone in rifugio.
La notte è di nuovo stellata e si va a dormire presto, verso le 22.00. Al mattino non sento i nostri compagni (per loro sveglia alle 4.30), e subito dopo colazione ritorna la grandine: ma è un attimo e dopo le 8.30 torna il sereno. Attendo invano Andrea per salire al Col di Vofrède (3131m) e verso le 9.30 mi avvio.
dal Col de Vofrède,
la vista sui giganti!
dintorni del Perucca:
Fontanella, Dragone
e Col di Valconera
Passo i due laghetti vicino al rifugio scendendo un po' prima di guadagnare la salita sul costone del Mont Rous (3242m). Vado a vista, non vedo segni né tracce sulla roccia, e avanzo tranquillo fin sotto il largo e pendente nevaio prima dell'arrivo. Il timore che il nevaio fosse ghiacciato svanisce non appena calco la neve, e così, aiutandomi facendo scalette con la punta dello scarpone, un po' alla bell'e meglio, in un'ora e 10min complessive dal rifugio, arrivo al colle e al cospetto del Cervino. Fantastico! Peccato che la sua cima sia coperta dalle nubi che scendono giù da nord. Dal Col di Vofrède la vista spazia dal Cervino al Liskamm e, dietro, i giganti del Vallese.
il ripido nevaio sotto il
Col de Vofrède
Mi appago di questo panorama mozzafiato, ritrovandomi ancora una volta, ora in perfetta solitudine, tra i giganti delle Alpi. Salgo anche un pochino verso la cima del Rous ma sta diventando tardi e quindi, più circospetto che all'andata, inizio la discesa fino al rifugio. Sul pezzo più ripido devo disarrampiacare fino a ricongiungermi sulla traccetta dell'andata.
Più sotto la neve iniza a smollare completamente e in un'oretta torno al rifugio dove i miei due soci sono in attività. Questa domenica di sole vede parecchia gente in giro.
la Gobba di Rollin all'orizzonte
Ritorniamo al Barmasse e quindi all'auto: il rifugio Perucca, l'ottima accoglienza ricevuta, gli scenari d'alta quota e lo scorcio sul Cervino fanno di questa, una gita dalle molte stelle S.E.I.
Viva il Presidente!
Viva il S.E.I. e la lunga estate che ci aspetta!
Alla prossima,
CP.

Nota: e con questa, il socio S.E.I. Adriano raggiunge Nike a quota 2 uscite nel 2013.