martedì 16 agosto 2016

Quando il ghiaccio arriva al mare. Svartisen - Norway.

L'ultimo post norvegese di quest'anno racconta la gita in giornata che Sandro ed io abbiamo fatto alla capanna Tåkeheimenhytta sul bordo della calotta glaciale dello Svartisen. Il giro si è concluso in giornata ma i bei paesaggi e la notevole giornata di sole mi hanno convinto ad includerne la descrizione nel nostro blog.

Tåkeheimenhytta vuol dire la capanna delle montagne nebbiose. Il significato del nome è chiaro se si pensa che si trova a mille e cento metri di quota sulla sponda di un ghiacciaio vista mare. L'umidità del mare si condensa risalendo la ripida parete formando vaste e durature nebbie. Tuttavia una sorte favorevole ci conduce in questi luoghi, l'intera giornata non vedrà l'ombra di una nuvola.









Al mattino presto abbiamo preso appuntamento con un barcarolo per superare il breve tratto di mare che dalla statale del Holandfjord ci conduce alla base dell'Engabreen, una lingua di ghiaccio che partendo dalla calotta dello Svartisen arriva al livello del mare ad un paio di chilometri dalla costa.










La vista è da subito maestosa. Appena guadagnata la riva divoriamo la pianura che ci separa dall'attacco del sentiero. Superiamo anche una fattoria dove si pubblicizza l'insolita attrazione di baciare un'alce. Non ci soffermiamo anche per timore che l'alce possa ricambiare...

Il sito del DNT segnala il sentiero come facile (secondo grado su quattro). L'esperienza della giornata non mi trova molto d'accordo come presto scopriremo. Il sentiero parte seguendo il percorso panoramico per l'Engabreen. Alcune catene servono più che altro a delimitare il percorso sulla roccia levigata dal ghiaccio. Lasciato il percorso turistico, la traccia sale decisa per scavalcare la scarpata di roccia compatta. Il terreno è reso infido dalle chiazze d'acqua che rendono scivolosi alcuni tratti.











 

Dopo circa 300 metri di salita su roccia il terreno cambia. Il sentiero si infila in una chiazza di betulle nane per puntare una fessura tra il bosco ed una lastra di roccia, dove, rimanendo su terreno fangoso, inizia a salire con notevole pendenza.
















A quota 450 si incrocia una linea elettrica ed il sentiero inizia ridurre la pendenza e ad assumere una conformazione più "alpina". La vegetazione si riduce ad un bel prato con bassi cespugli mentre il panorama inizia ad aprirsi. Superiamo tre norvegesi ed imbocchiamo una valletta erbosa che presto lasciamo per una facile cresta su ripido sentiero e ci permette di raggiungere un punto panoramico a quota 880 metri. Alle nostre spalle possiamo ammirare il lago di fusione del ghiacciaio, i fiordi, ed appena oltre il mare aperto. Davanti a noi i ghiacci dello Svartisen incombono silenziosi.
















Dopo una pausa riprendiamo la marcia. Il sentiero è ora su sfasciumi e roccette. Raggiungiamo una secondo punto panoramico con un piccolo saliscendi. Da qui è finalmente visibile la capanna situata tra il ghiacciaio e la cima del Helgelandsbukken (quota 1450). Il sentiero piega a sinistra risalendo una serie di sbalze rocciose. Il percorso avviene su cengie sempre più piccole man mano che ci si avvicina alla meta. Nella foto sotto il sentiero segue la cengia appena a sinistra del nevaio puntando alla gobba alla destra della capanna.









Come i miei... assidui lettori avranno già capito il vostro sta temendo il percorso troppo aereo. Verso quota mille vedo il passaggio che mi fa desistere. Bisogna salire sulla cengia superiore con un passaggio esposto mani-piedi. Tecnicamente facile, ma penso sia meglio fermarsi qui. Sandro riuscirà a raggiungere la capanna a quota 1073 percorrendo un ulteriore breve passaggio esposto in cresta a pochi metri dalla capanna.

La discesa è veloce, già ci pregustiamo il gelato ed il caffè al bar in riva al laghetto glaciale. Da qui la vista dell'Engabreen è notevole.
















Due settimane sono lunghe, ma alla fine terminano. Non rimane che rientrare in Italia ed aspettare i prossimi fine settimana per un nuovo post... alpino.

PD

domenica 14 agosto 2016

A piedi per i pianori del Sulitjelma. Salten - Norway.

L'elemento che domina il paesaggio è lo spazio, vuoto senza particolari riferimenti, così per giorni di cammino. Questi sentieri sono solitamente percorsi in solitaria per settimane sotto il peso degli zaini aspettando che il debole sole si alterni alla pioggia. Purtroppo non abbiamo il tempo di assaporare questi luoghi con la lentezza che richiedono, ma ci dobbiamo limitare ad un breve giro che tocca le capanne di Ny-Sulitjelma e di Sorjushytta.

Sandro ed io lasciamo nel tardo pomeriggio con l'auto la cittadina di Fauske all'imboccatura del fiordo, immersa in questi giorni in un incredibile clima mediterraneo, per addentrarci in una lunga valle est-ovest un tempo sede di importanti miniere di rame. Le nuvole si addensano sopra di noi mentre raggiungiamo il paese di Sulitjelma ed imbocchiamo la strada sterrata che conduce alla partenza del sentiero nei pressi di Ny-Sulitjelma (450 metri) dove ci fermiamo per la notte.












Alla capanna troviamo una improbabile comitiva di turisti russi che al mattino spariranno per non so dove. Ci alziamo con calma per permettere alla umidità ed alla nebbia di diradarsi. Mentre facciamo colazione veniamo raggiunti da un ragazzo tedesco che è già in cammino da una settimana ed ha l'ambiziosa meta di raggiungere a piedi Capo Nord.

Partiamo appena si vede il sentiero. La strada si inerpica immediatamente per superare una diga artificiale e raggiungere una altura a quota 905 metri che dovrebbe permettere di dominare il lago. Tuttavia la visibilità è limitata e ci impedisce di vedere il panorama. L'erba è quasi scomparsa e le rocce dominano il paesaggio. Proseguiamo ora con vari saliscendi su sfasciumi raggiungendo la sponda del lago.






Superiamo due guadi ravvicinati senza difficoltà. Sono parecchi giorni che non piove con decisione e questo rende semplici questi passaggi. Siamo ormai scesi a quota 800 e siamo pronti a risalire per la prima volta sopra i mille metri.








A sprazzi le nuvole iniziano a rompersi e le cime coperte di neve fanno la loro comparsa. I ghiacci del Blåmannsisen si vedono tra le alture (la foto sotto). Raggiungiamo quota 1050 pronti per scendere sulle rive di un secondo lago a quota 900.








Non rimane che un'ultima salita per recuperare quota 1058, la quota più alta del giro. Il sentiero attraversa paesaggi di alta montagna, la neve è ora attorno a noi. La discesa sul lato nord passa per vari nevai, dove le impronte delle renne sono ben visibili. Il sentiero perde quota lentamente e l'acqua inizia a stagnare e a formare pozze e quindi un torrente ricco d'acqua. Finalmente una discesa più ripida ci permette di superarlo grazie ad un paio di ponti. Siamo in vista delle due capanne di Sorjushytta, la nostra meta.






Le capanne norvegesi non sono pensate per essere dei semplici rifugi, ma per essere piccole case di montagna arredate con tutto quello che serve per far sentire a casa propria l'ospite. In questo Sorjushytta è particolarmente attenta.











Accendiamo la stufa, prendiamo l'acqua e scambiamo poche parole con due tedeschi che stanno facendo il nostro stesso giro e che oziavano dal giorno precedente nella capanna. Sul tardi arriverà anche il ragazzo incontrato alla partenza, che tuttavia non si fermerà per proseguire verso la capanna successiva, oltre il confine con la Svezia. In serata arrivano altri ospiti: una coppia si accampa nei pressi del torrente, tre svedesi si accomodano nella seconda capanna.

L'indomani siamo pronti a tornare sui nostri passi. Il tempo è migliorato e qualche sprazzo di sereno ci permette di vedere meglio il paesaggio.








 














Sulla via del ritorno vediamo anche le renne che si riposano su nevai poco lontani.












La strada è quasi terminata ricompare l'erba. Basta poco sole per cambiare completamente l'aspetto delle montagne.








Ripresa la macchina a Ny-Sultjelma torniamo al caldo di Fauske: pizza e birra sul molo, neanche fossimo in Italia.

Alla prossima con l'ultimo trekking norvegese (per quest'anno).

PD

lunedì 8 agosto 2016

su Pizzo Barone in famiglia

Durante le vacanze d'agosto che trascorro con la famiglia ho sempre l'occasione di proporre alle mie figlie, ormai grandi, qualche giro precedentemente testato con i soci del SEI in differenti condizioni. 
Queste escursioni “familiari”, rispetto a quelle solite, risultano invero un pochino addomesticate, per vari motivi tra cui merita menzionare:
- si va in agosto (dunque niente neve, ghiaccio, freddo, ecc.)
- essendo in vacanza, si va quando le condizioni meteo sono buone (e non quando arriva l'unico fine settimana in cui tutti possono, e dunque tipicamente con un tempo da schifo)
- si va su percorsi già testati (niente sorprese)
- gli zaini, chissà perché, sono meno pieni (qualcosa fa sospettare che il menù più frugale giochi un qualche ruolo).
Per quest'anno la scelta cade sul pizzo Barone, il tetto della Verzasca, già da noi salito, in condizioni peraltro anche allora buone, nell'autunno 2008: sono infatti sicuro che il percorso è privo di reali difficoltà ed alla portata di adolescenti; inoltre è una gita panoramica particolarmente adatta alle condizioni di vento da nord in cui ci troviamo. Speriamo che il percorso sia gradito: l'anno scorso, dopo 3 giorni in valle Antrona (comprendenti il pernottamento nel bivacco di latta di Camposecco), avevo avuto l'impressione di aver esagerato un pochino.
 Alla capanna Barone, l'atmosfera è alquanto diversa da quella che incontriamo di solito nei rifugi svizzeri: innanzitutto c'è gente, diversi gruppi (non hai la solita impressione di essere l'unico bipede nel raggio di chilometri di quando sei, che so, in val Lodrino in novembre, come di solito ci capita). 
Inoltre, anche le persone in capanna sono di una tipologia “diversa” rispetto al solito: si tratta di escursionisti silenziosi, ben equipaggiati, ben organizzati, che seguono i percorsi canonici segnalati e scelgono gli itinerari in base alla disponibilità di rifugi accoglienti e informazioni facilmente reperibili sulla letteratura specializzata. Insomma, persone che in val Lodrino in novembre non trovi.
Ad ogni modo ci comportiamo anche noi silenziosamente ed educatamente e, trascorsa la notte nel dormitorio al piano superiore (con “imprendibile” vista sulla bocchetta della Campala dalla grande vetrata), ci svegliamo per ultimi alle sette e mezza (una coppia di germanici si è alzata alle 5 e mezza: forse volevano fare l'intera Via Alta Verzasca in un giorno) e per ultimi partiamo poco prima delle nove. 
Già a quell'ora fino al lago, ancora in ombra, fa freddino, complice anche il vento da nord (chissà i germanici usciti alle 6). Poi arriva il sole e il resto della salita prosegue, come ricordavo, senza difficoltà di sorta. Il bello di questa cima è che mentre risali l'ultimo pezzo di sfasciumi non intuisci fino alla fine il fatto che, appena sopra, la zona sommitale sia costituita da un grande pianoro col panorama che si apre all'improvviso in tutte le direzioni. Posso così esibirmi nell'indicare alle fanciulle cime a loro note dopo anni di frequentazione dell'Ossola (Rosa, Leone, Weissmies...) e meno note (Adula, Tödi...), nonché alle foto di rito. Discesa lunga, ma senza intoppi di sorta e, alla fine, opinioni positive da parte di moglie e figlie: meno male, anche questa è andata.

domenica 7 agosto 2016

tra i graniti, per i passi Porcellizzo e dell'Oro

Bresciadega, e l'inconfondibile Cima del Barbacan (2738m)
Dopo solo una settimana ritorno ancora tra i graniti del comprensorio Codera-Masino-Bregaglia, ma questa volta con condizioni meteo decisamente migliori: raggiungere il bivacco Pedroni-Del Prà sarà, quindi, solo il punto di partenza di un giro nuovo e decisamente appagante.
Questa volta sono solo, nemmeno la fedele Nike è con me in quanto passare dalla val Codera alla valle Porcellizzo richiede transitare per il ripido p.sso Porcellizzo (2970m) che può essere ancora ricoperto da neve in scioglimento, pertanto ghiacciata: in queste condizioni la presenza di cagnolini, per quanto tenaci e combattivi, è preclusa.
verso il Pedroni: Pizzo Porcellizzo (3076m), e l'intaglio innevato dell'omonimo passo

Lasciata l'auto a Mezzoalpiano (375m) alle 8.30, arrivo al Pedroni-Del Prà dopo circa 8h, un'ora buona in meno della settimana precedente per merito delle condizioni ottimali del sentiero, in alto, dopo l'alpe Sivigia (1918m). Questa volta trovo in bivacco due signori vicentini che provengono dal p.sso della Turbinasca avendo il camper parcheggiato in val Bondasca.
La sera scorre morbida, e anche in questo giro nessuno incorpora 1cl di vino/grappa/birra.
bivacco Pedroni-Del Prà (2570m) e p.sso della Turbinasca (2701m)
Alle 7.20 del mattino sono fuori, il cielo terso e l'aria frizzante. Arrivare alla base della salita al p.sso Porcellizzo è piuttosto semplice: basta seguire i segni che, da appena dietro il bivacco, conducono giù per circa 100m, a quota 2465m, sotto il roccione su cui poggia lo stesso. Il sentiero, per essere in alta quota, è ancora agevole e solo alla fine occorre avanzare saltando di roccione in roccione. La parete che mi separa dalla valle Porcellizzo è tutta davanti a me. Severa, silenziosa e di bella roccia granitica. 
Pizzo Turbinasca (2918m, sx) e Punta Turbinasca (2998m)
All'ombra, dalla mia sinistra si stagliano il Pizzo Turbinasca (detto anche Altare) e la Punta Turbinasca, liscia e magnifica, che non avevo mai visto. Fino all'intaglio del p.sso Porcellizzo e del Pizzo Porcellizzo la parete prosegue uniforme, grigia chiaro e asciutta (ma non c'è Punta Torelli? Boh...starà dietro). Ai piedi del drago pietrificato stanno un ghiacciaio in scioglimento e un paio di laghetti. Vedo i segni, procedo e decido di calzare i ramponi appena posso, sopra i 2500m.
p.sso Porcellizzo (2961m)
Il primo tratto è ripido, ma nulla di impossibile. Arrivo a livello dei segni alla mia sinistra ma mi trovo un po' troppo a destra per tentare la fatica di traversare e mi dico, ma sì dai continuiamo su ghiaccio...: scelta sbagliata! Diviene sempre più ripido e, non avendo la piccozza ma solo i bastoni, mi tengono su i ramponi e la mano destra che sta al confine tra ghiaccio e roccia tutto sulla destra. Non mi trovo in una situazione simpatica, ma ormai posso solo salire. Com'è come non è, arrivo 100m sotto il passo, nuovamente ai segni. E' fatta! Meno male... Tolgo i ramponi, e vedo sopra di me quattro escursionisti svizzero-tedeschi che procedono in discesa molto lentamente, e capisco perché. 
Pizzo Badile (3305m) e Pizzo Cengalo (3369m)
La risalita degli ultimi 100m al p.sso Porcellizzo è tutta su ghiaietta e sassi medio-piccoli: in discesa è dura. Alle ore 10:00 sono su, finalmente al sole: spettacolo! Qui non ero stato mai. Incontro ancora cinque svizzeri-tedeschi che andranno per il p.sso della Turbinasca giù alla capanna Sasc Furä per salire sul Badile in giorno seguente: questa del Giannetti-Pedroni-Sasc  Furä è una tratta piuttosto frequentata. Scendere nella valle Porcellizzo è più agevole, meno ripido. Procedo comunque cauto sopra nevaietti, e devo dire che l'acesa mi ha provato mentalmente. Sotto di me vedo il rifugio Giannetti e intravedo il 'retro' dei graniti più famosi del comprensorio: il Pizzo Badile, e il Pizzo Cengalo. Non passerò per il Giannetti, e decido qui che non starò un'altra notte fuori al bivacco Valli: non mi va di fare il p.sso Ligoncio in discesa a fine giornata, meglio essere freschi per affrontarlo ed è meglio farlo in salita (se poi questa decisione significhi 'accorciare' il giro, beh...visto quello che mi manca ancora...non so se è un vero 'accorciare'). 
il tratto attrezzato per il passaggio del Barbacan (2637m)
La traversata Giannetti-Omio, via il passaggio del Barbacan, è una classicissima lombarda. Incontro infatti molte persone dirette al Giannetti mentre procedo in direzione opposta. Resto incantato in contemplazione di tutta la chiusura della valle Porcellizzo: dalla Cima della Bondasca a est al Pizzo Porcellizzo a ovest questo panorama rivaleggia con le Dolomiti quanto a bellezza. Ma andiamo! Ce n'è ancora molta di strada da fare...
Il pezzo attrezzato per il passaggio del Barbacan, affrontato con il clima perfetto di oggi, non è troppo complicato: più difficile sarebbe scenderlo in direzione opposta. 
il Pizzo Ligoncio (3032m) dalla valle dell'Oro
Dopo un primo breve tratto con catene si prosegue fino a incontrare il pezzo attrezzato propriamente detto: piuttosto lungo, ma le catene sono in ottimo stato e utilizzarle è quantomai necessario. Senza troppi patemi d'animo, alle ore 13:00 sono in cima al passaggio, a oltre 2600m di quota, e pronto a scendere in valle dell'Oro. Di qui vedo sicuramente il Disgrazia e, molto più a est, mi sa che quello è l'Adamello...
Scendo un po' stanco per il sentiero sempre segnato, e da questa parte c'è un solo tratto con le catene. Sceso di oltre 250m, incontro a quota 2360m il bivio a destra per il p.sso dell'Oro che vedo chiaramente. Per il passo occorre salire circa 150m, ed è l'ultima salita della giornata che percorro lentamente. Alle 14:10 mi trovo su al p.sso dell'Oro (2574m) per la prima volta.

p.sso dell'Oro (2574m) e Cima del Barbacan (2738m)
Il tempo di rifocillarmi con un po' con dei datteri e un pezzo di pane, e alle 14:22 sono di nuovo in pista per scendere la valle dell'Averta e riportarmi in val Codera.
Fino al bivio con il p.sso del Barbacan si cammina su pietre e pietroni, poi il sentiero migliora fino a entrare nel bosco appena sotto l'alpe Averta, dove con un giro stretto si cambia lato della valle attraversando il torrente piuttosto gonfio. In discesa incontro squadriglie varie di boy-scout: sotto l'alpe Averta mi sembra stiano allestendo una nuova postazione per le loro esplorazioni.
Bresciadega (1258m) dalla valle dell'Averta
Arrivo al rifugio Brasca alle ore 16:51, un po' di riposo e scatto delle foto di prima categoria alla valle d'Arnasca tutta al sole, e in particolare alla cengetta che porta al p.sso Ligoncio: sarà per il prossimo anno... Qui si chiude mentalmente il giro.
La discesa Brasca-Codera-Mezzoalpiano avviene come un automa, lentamente e all'ombra del tardo pomeriggio. Una volta a Mezzoalpiano non mi sembrerà vero potermi rinfrescare alla fontana, parecchio stanco ma molto felice per l'appagante giro concluso. Sono le 20:30, entrerò in auto dopo 13h e 10min dall'uscita dal Pedroni-Del Prà.
splendido! Visione assolata della valle d'Arnasca
Comunico via sms che sono vivo, e mi preparo al rietro a casa con ancora negli occhi le remote regioni di granito attraversate nel silenzio di una giornata memorabile.
Un grazie al Presidente che con il suo assenso dà sempre nuovi coraggio e motivazione.
Evviva il Presidente!
Evviva il S.E.I.!
Alla prossima,
CP

sabato 6 agosto 2016

La capanna di Strompdalen. Parco nazionale di Lomsdal-Visten, Helgeland - Norway.

Il cielo si apre da un lato all'altro dell'orizzonte mentre le luci del tramonto respingono la sera. Sono tanti anni che torno in questi luoghi e ogni volta che torno a casa ne ho nostalgia. La Norvegia, ed in particolare le regioni a cavallo del circolo polare, saranno ancora una volta il tema dei miei trekking estivi, quest'anno in compagnia di Sandro.

Il parco naturale di Lomsdal-Visten si trova in un luogo remoto della Norvegia. Si trova nell'entroterra delle isole e delle città costiere dell'Helgeland, a sud di Mosjøen. Nell'intero parco (vasto circa come quello dello Stelvio) ci sono solo due capanne aperte agli escursionisti e pochissimi sentieri (o meglio tracce, dato che non sono marcati). Anche i punti di accesso non sono banali. Nel nostro giro partiamo dalla baia di Børiøyra, qui sotto nella foto, raggiungibile solo via barca privata da Narvenes. Nel notevole sito del DNT è possibile trovare tutta la cartografia e la descrizione sia del sentiero che della capanna.






Dopo qualche difficoltà risolta brillantemente dall'ufficio turistico di Brønnøysund, recuperiamo il telefono di Robert, il nostro Caronte. Al mattino ci alziamo presto per raggiungere Narvenes, il paese di Robert. Concordiamo il prezzo del passaggio e dopo una mezz'ora arriviamo alla baia. Robert con sgaurdo divertito ci ricorda che nei fiordi le maree possono essere alte... il molo si trova almeno tre metri sopra la nostra testa e la scaletta a pioli in legno mangiato dal mare non promette il meglio.











Guadagnato il molo mentre Robert torna a casa, entriamo immediatamente nel bosco e sul sentiero abbiamo già un incontro...










Sperando che l'indomani il barcarolo torni (non ci sono altri modi sensati per uscire dal parco), ci incamminiamo nel bosco. Il sentiero sembra facile da seguire, anche se non ci sono i segni. Entriamo in una stretta valle e risaliamo per 200 metri il versante sinistro per guadgnare un pianoro sopra il canyon formato dal fiume.







Appena tornati in piano il terreno diventa subito fangoso ed alcuni assi di legno messi dai guardiaparco sono provvidenziali. Un piccolo aiuto che però presto scompare. Il sentiero entra nel fitto della vegetazione man mano che risaliamo il corso del fiume e il canyon sparisce. Per lunghi tratti vediamo ormai solo felci, betulle ed abeti. Il sottobosco è fitto e cela completamente la traccia del sentiero. Nella foto qui sotto la traccia che stiamo seguendo è esattamente in mezzo al campo di felci.










Rallentiamo il passo mentre il verde intenso ci avvolge. Facendoci largo nell'umida vegetazione torniamo sulla sponda del fiume, che ora si è ridotto ad essere un piccolo torrente. Siamo scesi di circa 150 metri.








Il sentiero è un flebile traccia che salta di roccia in roccia sul bordo dell'acqua cercando una via per risalire sulla sponda opposta. Quando non c'è modo di proseguire vediamo che la traccia si arrampica ripida per la sponda destra e prende quota, da lontano il rumore impetuoso di una cascata prende corpo. In cima alla sella abbiamo una gradita sorpresa, una vista panoramica sulla valle di Lomsdalen. Siamo tornati a quota 200 metri.















Contenti della vista e di non aver perso la traccia, continuiamo alla nosta meta. Dopo una breve discesa ed alcuni saliscendi arriviamo alla capanna di Strompdalen (quota 132 metri), un tempo fattoria e giardino dove abitava il botanico Knut Strompdalen.












La natura ha ormai mangiato ogni resto della fattoria e del giardino botanico. Sono rimaste solo le vecchie macine tra le betulle del bosco.










Lasciamo gli zaini nella capanna e continuiamo fino alle cascate scendendo in direzione del fiume.










Proseguiamo oltre fino al ponte sospeso che porta nel cuore della Lomsdalen, nella foto qui sotto. La traccia, da qui ormai difficile da seguire, continua per un lungo tratto fino ad una fattoria abbandonata, ma agibile per pernotti a dire di Robert.








Quando vediamo la traccia perdersi tra le pietraie che ripide risalgono le costa sinistra del fiume, ci fermiamo ormai contenti di questa esperienza e torniamo alla capanna per rosolarci al sole artico che ci sta accompagnando dalla mattina. Nella foto il Lomsdalselva sulla cui sponda sinistra corre il sentiero.









La sera passa veloce a preparare la legna e la cena mentre leggiamo (o meglio ci proviamo, dato che è tutto scritto in norvegese) la vita della famiglia Strompdalen raccontata dai libri della piccola biblioteca della capanna. Il giorno successivo torniamo per la stessa strada a Børiøyra ed attendiamo fiduciosi Robert, che non manca l'appuntamento.

Questo è il primo di tre post sul viaggio in Norvegia 2016. A seguire: Sorjushytta e Tåkeheimenhytta.

PD

domenica 31 luglio 2016

da Mezzoalpiano al bivacco Pedroni-Del Prà, un lungo e splendido giro

Speravo in un meteo più propizio, ma alla fine per questo super-giro va bene anche così...
Sono tutti in vacanza, e allora che si fa? Con Nike decido di ripercorre la stessa strada di 10 anni fa quando, dalla stazione di Novate Mezzola, sono arrivato al bivacco Pedroni-Del Prà (2577m) in fondo alla val Codera, sotto le cime che la separano dalla valle Porcellizzo e dalla val Bondasca (Grigioni, CH).
la valle dell'Averta e a dx il Pizzo del Barbacan (2738m)
Questa volta si parte da Mezzoalpiano (320m) alle 10.00 precise e iniziamo a salire con il passo lento che si addice a una lunga giornata di cammino. Siamo in mezzo a tante altre persone: molti oggi si godono questa classicissima lombarda. E, naturalmente, ci sono molti scout. Sempre allegri, ingombranti e piuttosto male equipaggiati. Questo gruppo davvero numeroso viene dalla Campania e passerà qualche giorno da queste parti. Ci sono anche scout delle famosissime "Aquile Randagie". E' proprio con due Aquile che salgo la prima mezz'ora ove ascolto qualche aneddoto della loro bella storia. All'epoca della Seconda Guerra Mondiale, aiutavano (clandestinamente, loro e gli altri) a passare in Svizzera ebrei e nazisti, e tutti quelli che rischiavano grosso: per un'Aquila Randagia la vita di chiunque è un bene assoluto da proteggere. Più recentemente, le Aquile Randagie sono state sempre schierate contro il progetto di strada che arrivasse a Codera dal fondovalle: non l'hanno mai fatta, "anche grazie a noi, ma soprtattuto perché le cave di granito qui sono esaurite".
sopra il Brasca, la parte alluvionata della val Codera
In un'ora e trenta minuti arrivo a Codera (825m), sfamo e disseto Nike, e dopo 15 minuti ci rimettiamo in marcia. Inizia da qui fino a Saline (1034m) un pezzo brutto da fare, lungo la "pista agro-silvo-pastorale" manutenuta anche grazie a fondi europei: non proprio una bellezza da percorrere a piedi, tutta pietre e pietrisco...
Non entro a Saline, resto verso il fiume, e proseguo iniziando a sentirmi a casa, tra le cime: il panorama inizia ad aprirsi con la vista sulla spettacolare valle dell'Averta dove spicca, inconfondibile, la guglia del Pizzo del Barbacan (2738m). Da Saline, inoltre, le condizioni della strada migliorano un poco, perché il pietrisco è più minuto. Arrivo così a Bresciadega e poi al rifugio Brasca (1308m), del C.A.I. Milano. Tra Bresciadega e il Brasca, da qualche anno ormai, gli scuot hanno costruito una loro nuova base, "La Casera". 
alpe Codera (1480m)
Siamo al Brasca dopo 3h 40min dall'auto, e con Nike mi sparo una bella pausa di 50 minuti ove mangio un po' di frutta. Ovviamente fotografo la sarebbe-splendida visione della valle d'Aranasca, ma vedo molto bene solo il Saas Carlasc (ove si appoggia il bivacco Valli) e poco altro: Sfinge, Ligoncio e la parete che conduce alla "Porta" con la valle dei Ratti sono sotto le nuvole...
Gambe in spalla, e ora avanzo realmente piano per la fatica accumulata. La strada che mi resta da fare è ancora lunga, sono circa a metà. Dal Brasca si acceda alla parte 'mediana' della valle Codera, ove il letto del fiume è ritagliato tra la miriade di pietroni e sassi frutto dell'alluvione del 1987.
verso la chiusura della valle, sui pietroni
Il sentiero è sempre segnato, e questo caldo pomeriggio si allieta grazie all'incontro due squadriglie scout: la prima, di sole ragazze, ritorna in Casera dopo aver condotto con successo l'esplorazione al "Piantone", un albero monumentale che si trova forse in valle del Conco (o in un'altra laterale destra della valle principale, loro non me lo sanno spiegare). Il secondo gruppo, invece, sono solo ragazzi con uno di loro che scende senza la suola di uno scarpone che si è completamente staccata da esso. "Ho tentato di legarla, ma non ci sono riuscito....Tanto sono allenato, riesco a scendere" mi dice sorridendo questo tredicenne. Mah! So' ragazzi...
bei larici verso l'alpe Sivigia
Proseguo, e finalmente arrivo a quota 1550m circa dove il sentiero riprende a salire. La stanchezza mi ha raggiunto, avanzo molto piano e guadagno, dopo gradoni di roccia in un bellissimo ambiente di larici, il guado della giornata: il ruscello che scende dalla valle Valloni è gonfio davvero. Ad indicare il punto di guado c'è una corda tesa tra le due rive. Appongiandoci a una roccia piuttosto sottile, Nike e io riusciamo a balzare sulla roccia piatta situata dopo 70cm di acque spumeggianti. Al ritorno, domani, guadare non sarà così facile: cercherò un altro guado più a monte solo che, trovatolo parecchi minuti dopo, sarò costretto a "lanciare" Nike dell'altra parte...poverina, ma l'alternativa non c'era.
Dopo il guado, e prima di arrivare all'alpe Sivigia verso le 16.30 circa ecco l'incontro che non ti aspetti: scende una persona, ha più o meno la mia età, e torna bel bella a Mezzoalpiano dopo essere arrivato al Pedroni-Del Prà in giornata! Scambiamo quattro amichevoli parole. Un grande...
alpe Sivigia (1918m) dal sentiero
Dalla diroccata alpe Sivigia (1918m) il sentiero per il bivacco Pedroni-Del Prà e per il passo della Teggiola è uguale, e conduce lateralmente a una grande muraglia di roccia davanti l'alpe di Sivigia altrimenti invalicabile. A 2100m si incontra il bivio a sx per la Teggiola. Nota: dall'alpe Sivigia sul sentiero ci sono anche i vecchi segni rossi, sempre più sbiaditi e ormai aranciati, che abbreviano con 'V' il nome del bivacco: tempo fa, infatti, il bivacco era un altro, in lamiera bianca, ed era dedicato a Vaninetti (come le rare foto in rete indicano). Proseguiamo, sempre più stanchi, e il meteo inizia a peggiorare vieppiù... pioggia leggera e minacciosi addensamenti di nuvole. Purtroppo non si vede nulla della splendida cornice di cime che separano con la val Bondasca.
Affrontiamo l'ultimo salto di roccia con il pezzo attrezzato e alle 19.00 precise (dopo 9h dall'auto) siamo al Pedroni! Fantastico.... ce l'abbiamo fatta!
ore 19.00: bivacco Pedroni-Del Prà (2577m)
Con mia grande sorpresa il bivacco è aperto (ma vista la data del calendario ciò non è insolito) e saremo in compagnia di tre simpatici anziani over 65 e un giovanotto under 25, tutti brianzoli delle parti di Erba e molto esperti di montagna. "Come siete arrivati?", chiedo. "In elicottero!" è la risposta. Sono qui da una notte e ci resteranno un altro paio (o fino a che il cibo finisce, mi dice simpaticamente uno).
Dopo poco che entriamo in bivacco, ci sistemiamo, usciamo ancora a prendere l'acqua e rientriamo, fuori si scatena il finimondo: un gran temporale! Fortuna essere entrati per tempo...
La sera scorre morbida e spartana (nessuno, me incluso, berrà nemmeno 1cl di alcool). Faccio qualche foto al tramonto dopo il temporale. Altra nota: l'acqua si trova seguendo il sentiero verso il p.sso della Turbinasca, si incontra un laghetto un po' sfigato con un tubo in metallo tra le rocce che getta acqua di scioglimento proveniente da sopra.
domenica mattina, saluti dal Pedroni!
La mattina seguente piove, e aspetto le 10.00 prima di riprendere la stessa strada dell'andata. Gli anziani mi suggeriscono che, invece delle catene su roccia scivolosa, è meglio seguire prima verso il p.sso della Turbinasca, e dopo riprendere il sentiero ufficiale scendendo a vista in modo più sicuro e su pendii meno ripidi. Il ritorno mi porterà in auto alle 16.30: niente Pizzo Turbinasca questa volta...ma sarà per la prossima. Ora mi godo la gioia di essere riuscito, dopo 10 anni, a fare lo stesso percorso in tempi ragionevoli, e di questo ringrazio -D e il Presidente del S.E.I..
Evviva il Presidente!
Evviva il S.E.I.!
CP